Quando la Fiaba va in frantumi. ‘La Scortecata’ di Emma Dante, fra pietas e crudeltà, al Piccolo Teatro Grassi di Milano

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MILANO – Chiedo la licenza di scrivere in prima persona questa recensione che, per convenzione e per amor di analisi, dovrebbe utilizzare la terza, più impersonale. Ma mi sono alzata dalla platea del Piccolo Teatro di Milano, al termine di questo spettacolo, con una commozione profonda che non avevo messo in conto, pur essendo preparata ad un forte coinvolgimento emotivo, davanti a una creazione di Emma Dante, i cui furibondi, inteneriti sovvertimenti delle convenzioni sceniche non lasciano mai indifferente lo spettatore, messo a nudo, ‘scortecato’, come i personaggi.

Due gli attori in scena: sapevo che le due vecchiacce del testo di Basile sarebbero state interpretate da uomini, ma non sapevo che impressione mi avrebbero fatto per davvero. La loro presenza scenica, resa femminile solo dall’indossare un capo di lingerie, ma trasandato, e delle calze precarie color carne, mette subito in chiaro che è oltre le apparenze che bisogna guardare, concentra immediatamente l’attenzione soprattutto sulle movenze, artificiose, affaticate, strascicate e sciatte e sulla fatica dei sorprendenti Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola, intenti a succhiarsi furiosamente il dito per renderlo più morbido. Infatti Carolina, zitella 99enne che vive con la sorella maggiore Rusinella (di ben 101 anni), aveva attirato, con il suo bel canto, le attenzioni del Re, che attribuiva erroneamente quella voce ad una fanciulla di cui voleva conquistarsi i favori. Per ingannarlo, la voce, udibile ma non visibile, aveva promesso di lasciargli toccare di sé, giorni dopo, un solo pezzo, il mignolo appunto, attraverso la toppa della serratura. Le due sorelle bisticciano coloritamente in un napoletano mai volgare e mai troppo desueto, con un lessico famigliare che mi dà tregua dalla grevità del loro grottesco tentativo di ringiovanirsi. L’intento sembra infatti sì ingannare il Re, ma soprattutto se stesse, modificando temporaneamente l’apparenza del mignolo.

Il Re compare, incarnato alternativamente da uno dei due attori già in scena, con l’espediente di alzare da terra l’uscio della misera casupola e frapponendolo tra sé e l’altra sorella. Il mignolo non lo delude, voglioso com’è di portarsi a casa il suo trofeo, e i due si danno segreto convegno nella stanza del Re, che resterà però al buio, come pretende Carolina, fingendosi timida, per tutta la durata dell’incontro. L’amplesso ha dunque luogo, a candele “smorzate”, sulla colonna sonora irriverente e canzonatoria del Mambo Italiano, in un gioco mimico allusivo ma al tempo stesso leggiadro, dietro un lenzuolo svolazzante. Ferito nell’orgoglio, quando il nobile scopre la vecchia, la caccia sbattendola fuori dalla finestra. Ed è qui che la storia passa ad un altro livello, tutto metaforico: raccogliendo la sorella umiliata tra i rami di un albero, Rusinella s’infinge fata e la trasforma in una giovinetta ballerina, che dà le spalle al pubblico e che immagino scoppiare di gioia nell’incanto di una bellezza mai stata sua, nemmeno da ragazza, sulle note struggenti di Reginella e dietro un ampio abito sgargiante, che sfugge insolente alla desolazione di tutta la scena. Rusinella allora assume la parte del Re, fa alla novella Carolina mille complimenti e la chiede in sposa.

Finché non mi accorgo che le spalle di Carolina sussultano, la sua testa si piega in avanti e improvvisamente non sono più seduta sulla poltroncina vellutata del Piccolo Teatro Grassi ma sono accanto a lei, dentro alla storia, dentro quell’anima che si dichiara stanca delle favole, con quella disarmante voce esausta che dà corpo alle disillusioni, grandi e piccole, che la vita mi ha insegnato. E l’incanto va in frantumi, mentre la veste da sciantosa finisce per terra. Perché non ci sono bacchette magiche, non ci sono scorciatoie, non ci sono sconti. “Sono stanca… Non sei stanca di vivere da sola?” chiede in lacrime alla sorella. “Ma io non sono sola! Ho te” risponde Rusinella, nel primo slancio di amore autentico dell’opera. Ma a Carolina non basta, lei non vuole più essere vecchia e brutta e rifiutata, lei vuole una pelle nuova, e chiede proprio alla sorella di aiutarla a farla venire fuori, “scortecandola”. Costi quel che costi. Come se, esaurite le finzioni e le fiabe, uscire dalla propria pelle fosse l’unica soluzione desiderabile.

L’accettazione di sé è l’orizzonte inarrivabile. Questo, complice il potere incontenibile della musica napoletana sulla sfera emotiva, mi ha sommerso di tenerezza per la condizione umana, di uomini e donne, di letterati e vecchierelle, di re e miserabili. E per la vanità del nostro inseguire i giudizi altrui.

Un’apoteosi per i due generosissimi interpreti, che Emma Dante ha dichiarato di considerare coautori dello spettacolo. E io me ne sono andata carica di pensieri ma senza zavorre, per aver riso e pianto di cuore, nella speranza di aver lasciato in platea un po’ della mia dura pellaccia.

 

La Scortecata

liberamente tratto da “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile

testo e regia Emma Dante

con Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola

al Piccolo Teatro Grassi

dal 2 al 14 aprile 2019


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