di Emanuel Butticè
Era il 28 settembre 1992 quando il buio della notte veniva illuminato dai colpi di arma da fuoco esplosi contro Paolo Ficalora, Capitano di lungo corso della Marina mercantile ucciso sotto gli occhi della moglie. Siamo nel pieno della stagione del terrore, gli anni della Cosa nostra stragista, dei corleonesi di Riina e della mattanza per le strade della Sicilia.
Paolo Ficalora ha pagato con la vita l’essersi messo contro gli interessi dei mafiosi. Chi lo ha conosciuto a Castellammare del Golfo ricorda un uomo buono, onesto e profondamente innamorato del mare. Non navigava più ma non riusciva a stare lontano dalla sua terra. Amava la pesca e il profumo della salsedine. Paolo non era solo un capitano di lungo corso. Paolo era un visionario ed aveva capito che il turismo sarebbe stato il futuro. Tanto certo di questo da creare, sul suo terreno in contrada Ciauli a Scopello, un piccolo residence da affittare ai turisti, a pochi passi dalla meravigliosa baia di Guidaloca. Un’iniziativa unica per quegli anni in una realtà che scoprirà il turismo soltanto negli anni duemila.
Quel residence però attira gli interessi di alcuni boss locali e di qualche colletto bianco. Inizia così un lungo periodo in cui Paolo Ficalora subisce intimidazioni di ogni tipo. Resiste per anni alle pressioni mafiose che volevano sottrargli il piccolo villaggio turistico. Era un uomo dalla schiena dritta, non aveva paura e non avrebbe mai permesso alla mafia di sottargli ciò che aveva creato.
Tra tanti c’è un episodio in particolare che sancisce la condanna a morte emessa dai corleonesi nei confronti di quel Capitano “ribelle”. Paolo Ficalora affitta una villetta del suo residence ad una famiglia composta da genitori e figli piccoli ed apprende dopo, dai giornali, che questa famiglia ha avuto come “ospite” il super pentito di Cosa nostra Totuccio Contorno, di cui Ficalora ignora, ovviamente, l’identità. Contorno infatti veniva spostato continuamente in incognito. Per i mafiosi sanguinari è l’occasione perfetta: un affronto così non poteva restare impunito. A sparare nel cuore della notte, mentre il Capitano Ficalora stava aprendo il cancello di casa, il boss locale Gioacchino Calabrò, condannato all’ergastolo per l’omicidio Ficalora e per la strage di via dei Georgofili a Firenze.
Da subito è chiaro che ad essere ucciso è un innocente, totalmente estraneo ad ambienti mafiosi, ma per lungo tempo la sua morte rimane avvolta in un mistero circa il movente. Iniziano le illazioni, le supposizioni e con il tempo la storia di Paolo e della sua famiglia passa nel dimenticatoio. Una “vittima di serie b”, circostanza che porta alla famiglia ancora più sofferenza.
Così come per Peppino Impastato e tante altre vittime innocenti. Uccisi due volte: dal piombo mafioso e dal silenzio della società civile. Si arriverà alla verità e ad una piena giustizia soltanto anni dopo, a seguito di lunghi iter giudiziari. A raccontare il movente del delitto Ficalora, nel corso del processo, è stato il collaboratore di giustizia di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca, lo stesso che azionò il telecomando che fece saltare in aria il tratto di autostrada tra Capaci e Isola delle Femmine, in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonino Montinaro.
A Paolo Ficalora sono state intitolate diverse borse di studio e la città di Castellammare del Golfo gli ha dedicato una via nel 2004.
Questa è la storia di una famiglia che non si è mai arresa. La vedova Vita D’Angelo e i due figli Angelo e Tiziana, per anni, hanno cercato la verità nelle aule giudiziarie, sfidando a testa alta la potente mafia castellammarese. Questa incessante ricerca di verità e giustizia ha scatenato anche gravi intimidazioni nei confronti della moglie, dirigente scolastico a Palermo, città in cui la famiglia risiede. Avvertimenti in puro stile mafioso. Ma il coraggio e la determinazione della vedova e dei figli, che non si sono mai arresi, hanno avuto la meglio sulla violenza di Cosa nostra e su tentativi meschini di insabbiare i fatti.
Per restituire l’onore a Paolo Ficalora ci sono voluti dieci anni. Con sentenza definitiva la Cassazione ha chiuso questa vicenda criminosa. I figli e la moglie in tutti questi anni hanno tenuto vivo il ricordo del “Capitano buono” incontrando la società civile allo scopo di non dimenticare chi, con coraggio ed onestà, è stato assassinato solo per non aver accettato le prepotenze mafiose.
Dopo 26 anni la città di Castellammare del Golfo ha ricordato con affetto e commozione il suo cittadino vittima innocente di mafia. L’anno scorso il paese si è stretto intorno alla famiglia, che vive a Palermo ma continua a frequentare Castellammare nel periodo estivo, con una cerimonia solenne alla presenza delle autorità religiose, militati e civili, oltre a numerosi studenti e associazioni locali. Una memoria finalmente ritrovata se pur dopo tanti, troppi, anni.