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L’Uomo che comprò la Luna

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Un tributo all’ identità della cultura e delle genti di Sardegna. E’ questo il senso del film “l’Uomo che comprò la luna”, secondo lungometraggio, dopo “L’Arbitro”, di Paolo Zucca; alla sceneggiatura lo stesso Zucca, con Geppi Cucciari e Barbara Alberti. Un viaggio quasi onirico, tra farsa e poesia, nella Sardegna di oggi, in cui vengono dissacrati e recuperati gli stereotipi di una Terra ancestrale, legati alla tradizione ma che non rifiuta la modernità.

E’ la storia di un soldato “milanese” (nella finzione: Jacopo Cullin), ma dalle origini sarde, che, avendo cambiato il proprio nome a seguito dell’arresto di un nonno con la passione per il tritolo (da Gavino Zoccheddu in Kevin Pirelli), viene incaricato da una coppia di agenti segreti italiani, Stefano Fresi e Francesco Pannofino (nella finzione: Pino e Dino), di recarsi in Sardegna per scoprire chi sia diventato proprietario della Luna, e il perché, cosa questa, di per sé, inaccettabile da parte degli Usa, primo ed unico Paese ad averne toccato il suolo.

La prima parte del film si snoda secondo i ritmi della farsa, in cui l’impacciato Kevin viene addestrato alle abitudini barbaricine da un esiliato sardo doc (nella finzione: Benito Urgu) trapiantato a Milano per un vecchio fatto di sangue avvenuto in Sardegna. La seconda parte, invece, più onirica, si snoda attraverso il recupero della propria identità, della propria cultura, sino ad allora rifiutata.

Secondo il regista, una pellicola con un impianto “.. drammaturgico modulato sulle strutture archetipiche individuate da Chris Vogler nel suo intramontabile viaggio dell’Eroe. Racconta infatti della crescita interiore di un eroe sui generis e del suo viaggio picaresco verso la scoperta e la riappropriazione di una cultura e di un sistema di valori altri”.

Una produzione Amedeo Pagani, Nicola Giuliano e Rai Cinema, distribuita da Indigo Film, presentato al festival del Cinema di Roma 2018 (già nelle sale della Regione Sardegna dal 4 aprile scorso), in sala dal 2 maggio.

Un film divertente e delizioso, con qualche limite nel ritmo della storia, sacrificato a favore dello stereotipo di maniera, che affronta con leggerezza il tema del valore (in un mondo disorientato) della riappropriazione e della riscoperta delle proprie origini.


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