Ha ragione l’ex sindaco Cialente quando afferma nel suo libro che quella del terremoto dell’Aquila è stata ” una lezione mancata”. Ha ragione ed è straziante constatare come in terra d’Abruzzo si sia persa l’ennesima occasione per dimostrare agli italiani che esiste uno Stato e ha una dignità, un’efficienza e la capacità di reagire alla violenza di una natura troppe volte devastata e talora matrigna a causa della particolare conformazione e posizione del nostro territorio.
Ricordo tutto di quella notte. La paura, il tormento, la domanda angosciante su dove fosse l’epicentro del sisma, le notizie giunte al risveglio, le oltre trecento bare, le polemiche, le strumentalizzazioni, le visite continue di Berlusconi nei mesi successivi e il trasferimento del G8 dalla Maddalena, dove era previsto inizialmente, proprio all’Aquila, al fine di cavalcare ulteriormente la disperazione popolare, trasformando le rovine di una città in ginocchio in una passerella di potenti e in un clamoroso spot a favore dell’esecutivo.
Ricordo le casette, la ricostruzione della città fuori dalla città e il centro storico di una delle località più belle d’Italia desolatamente vuoto, disabitato, privo di quella vivacità, di quei colori, di quelle emozioni e di quei valori che avevano fortificato nei secoli il popolo abruzzese.
Ricordo la solidarietà sincera nei confronti delle vittime e dei sopravvissuti, gli aiuti umanitari inviati senza sosta, gli scout e la Protezione civile che scavavano nell’inferno ed estraevano i corpi di chi era rimasto sepolto sotto le case venute giù, lo strazio della Casa dello studente e la follia di una ricostruzione condotta come peggio non si sarebbe potuto, proprio come è avvenuto tante altre volte nel nostro Paese.
Fragile e misterioso Abruzzo che non sei stato più lo stesso, regione smarrita, tragica, devastata eppure ancora in lotta, ancora capace di battersi, di resistere, di avere coraggio, di fortificare gente dal carattere di ferro e di conservare comunque la propria straordinaria bellezza, benché ferita e lesa nel profondo dell’anima.
Dieci anni dopo ci assale un interrogativo straziante: cosa ne sarà della nostra fiducia in noi stessi e nella comunità nel suo insieme se non è capace di tutelarci nei momenti più difficili, quando la presenza dello Stato fa la differenza fra una nazione credibile e un paese privo di ogni affidabilità? Nella risposta scontata a questa domanda retorica è racchiuso il nostro degrado e la ragione per cui, purtroppo, ci sentiamo tutti più soli.
P.S. Ricorre il ventesimo anniversario della scomparsa di Giulio Einaudi, fondatore di una delle più importanti case editrici al mondo ma, soprattutto, costruttore di un idea della politica, della cultura, della letteratura e dei rapporti umani che affondava le proprie radici nell’esperienza resistenziale e nell’azionismo della Torino dei Bobbio e dei Mila. Un gigante di cui avvertiamo la mancanza, specie se si considera che oggi il rapporto fra politica e cultura sta attraversando una delle stagioni più deprimenti.
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