Questa settimana è maturato il settantesimo anniversario del Patto Atlantico, stipulato a Washington il 4 aprile 1949. Sulla stampa italiana non sono mancati i panegirici sulle virtù salvifiche della NATO. Trattandosi di atti di fede, non sono comparsi dubbi di sorta, soprattutto nessuno si è interrogato sulla legittimità o sull’utilità della guerra aerea condotta dalla NATO contro la Jugoslavia, di cui il 24 marzo ricorreva il ventesimo anniversario. Lasciamo perdere Gladio; lasciamo perdere la strategia della tensione; lasciamo perdere il silenzio sull’abbattimento del DC9 di Ustica; ma non possiamo ignorare che “la svolta” che ha modificato il ruolo della NATO con l’intervento in Jugoslavia è stata frutto di una preparazione e di un condizionamento del nostro Paese per nulla scontato, i cui retroscena sono rimasti avvolti nell’ombra. Quando il pomeriggio del 24 marzo 1999 il Parlamento italiano è stato informato dal Governo che l’azione della NATO era iniziata, i bombardieri erano già in volo, la macchina da guerra si era messa in moto secondo un progetto predisposto e reso operativo da tempo, e la politica non avrebbe potuto fare niente per arrestarla. E’ legittimo chiedersi quando è maturata questa irreparabilità, quando e da chi sono state compiute le scelte politiche che hanno reso il ricorso alla guerra ineluttabile? Orbene, per quanto si sia trattato di un processo politico, con una serie di avvenimenti concatenati fra di loro, un punto di svolta c’è stato ed è possibile risalire ad esso. Fu la decisione assunta il 12 ottobre 1998 dal Consiglio dei Ministri del Governo Prodi, dopo la sfiducia, (votata dalla Camera il 9 ottobre), relativa adesione dell’Italia al c.d. “Activation order “, mettendo a disposizione della NATO le proprie basi. Il giorno successivo, il 13 ottobre, il Segretario Generale della NATO Solana emanò l’activation order, conferendo al Comandante militare, gen. Clark, il potere di ordinare attacchi armati contro la Repubblica federale Jugoslava. Quel giorno la macchina da guerra della NATO accese i suoi motori ed iniziò la vigilia della guerra.
Come e attraverso quali percorsi politici si arrivò a quella svolta?
Durante il Governo Dini (1995/1996), fu stabilito che la NATO non aveva legittimità a ricorrere a misure comportanti l’uso della forza senza la preventiva autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, come del resto prevede la Carta delle Nazioni Unite. Questa posizione fu ereditata dal Governo Prodi e lo stesso ministro degli esteri Dini la mantenne in piedi come posizione ufficiale della Farnesina in dichiarazioni pubbliche e comunicati stampa, fino al settembre del 1998.
Nel corso della primavera/estate del 1998, si sviluppò un dibattito sulla possibilità che la NATO intervenisse militarmente nel Kosovo, anche in assenza di una formale autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza. Tale dibattito nascondeva un conflitto politico durissimo fra Stati Uniti e Gran Bretagna (che sostenevano la tesi della legittimità del ricorso alla forza) e l’Italia che continuava ad opporsi. Sorse allora per l’Alleato americano l’esigenza di provocare un mutamento di Governo in Italia per ottenere una maggioranza più omogenea alle esigenze belliche della NATO. Poiché non si poteva correre il rischio di nuove elezioni, il cui esito non sarebbe stato prevedibile, la scelta fu di trovare una maggioranza di ricambio che potesse fare accrescere il tasso di “fedeltà atlantica” dell’ Italia, sostituendo Rifondazione comunista con forze più omogenee alla NATO. A quel punto fu attivato il più autorevole dei terminali della CIA nel sistema politico italiano, l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, l’uomo di Gladio. Nella primavera del 1998 Cossiga, utilizzando la sua influenza sul sistema politico italiano, riuscì a staccare una frazione di deputati e senatori dal centro destra, fondando l’Udeur, con il dichiarato scopo di far nascere una nuova maggioranza politica che sostituisse quella basata sull’alleanza dell’Ulivo più Rifondazione e guidata da Prodi. Sul Foglio del 4 ottobre 2000 Carlo Scognamiglio, Ministro della Difesa in carica durante la guerra, polemizzando con James Rubin, l’ex portavoce dell’allora Segretario di Stato, Madeleine Albright, si lasciò sfuggire: “A Rubin sfugge che in Italia avevamo dovuto cambiare governo proprio per fronteggiare gli impegni politici-militari che si delineavano in Kosovo…Prodi ad ottobre aveva espresso una disponibilità di massima all’uso delle basi italiane, ma per la presenza di Rifondazione nella sua maggioranza non avrebbe mai potuto impegnarsi in azioni militari. Per questo il senatore Cossiga ed io ritenemmo che occorreva un accordo chiaro con l’on. D’Alema (..): l’Italia avrebbe dovuto fare esattamente ciò che la NATO avrebbe deciso di fare.” Questo è esattamente ciò che l’Italia ha fatto.