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La “sua” nouvelle vague. Ci lascia Agnes Varda, piccolo grande elfo del cinema francese

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Ci mancherà molto Agnès Varda, tenero, irriducibile elfo del cinema poetico e civile. Regista e sceneggiatrice cinematografica, nata a Ixelles il 30 maggio 1928 da padre greco e madre francese. Nel corso della sua carriera ha maturato una forma espressiva, tanto immediata quanto speculativa, coniugando l’oggettività dell’approccio documentario alla soggettività di un rapporto complice con i personaggi messi in scena. Tra i riconoscimenti ottenuti, il Premio speciale della giuria al Festival di Berlino per “Le bonheur” (1965; Il verde prato dell’amore) e il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia per “Sans toit ni loi” (1985; Senza tetto né legge).

Giunta da bambina in Francia con la famiglia, dopo aver compiuto a Parigi studi di letteratura alla Sorbona e di storia dell’arte alla scuola del Louvre, intraprese dal 1951 la carriera di fotografa. Approdò al cinema nel 1954 girando “La pointe courte” (uscito solo nel 1956), montato grazie all’amichevole aiuto di Alain Resnais, bilancio di un rapporto matrimoniale in crisi ambientato in un villaggio di pescatori, grazie al quale si fece notare dai critici che avrebbero poi dato vita alla Nouvelle vague. Dopo alcuni cortometraggi (tra cui “Du côté de la côte”, 1959), s’impose definitivamente con “Cléo de 5 à 7” (1961; Cléo dalle 5 alle 7), ritratto in tempo reale di una cantante che attraversa Parigi assieme a un soldato incontrato per caso, mentre attende un responso medico che potrebbe diagnosticarle un male incurabile: l’armonia tra ambienti, personaggi e stati d’animo è ottenuta grazie a uno stile che intreccia realismo e ricercatezza. Abbandonata la fotografia, realizzò Le bonheur, storia di un padre di famiglia che infrange la felicità coniugale confessando alla moglie la sua relazione con un’altra donna.

Rivelatasi autrice di rilievo internazionale, non fu per questo spinta a conformare la sua produzione agli standard consueti: girò infatti l’esperimento metanarrativo “Les creature” (1966), in cui uno scrittore lascia che i personaggi del suo romanzo prendano vita nell’isola in cui si ritrova insieme alla moglie incinta. Seguirono alcuni documentari, da quelli realizzati negli Stati Uniti (“Uncle Yanco”, 1967; “Black Panthers”, 1968; “Lions love”, 1969) a “Daguerréotypes” (1975), sulla vita quotidiana dei piccoli commercianti della sua strada. La sua adesione al movimento femminista produsse “L’une chante, l’autre pas” (1976), ritratto di due ragazze che nell’arco di dieci anni si perdono e si ritrovano. Dal 1977, grazie alla casa di produzione da lei creata (la Ciné-Tamaris), poté disporre di una totale libertà creativa. Il ritorno in America portò ai documentari “Mur murs” (1980), sui murales di Los Angeles, e “Documenteur” (1981), sulla complessa realtà della California e del sogno hollywoodiano. Dopo una serie di cortometraggi (tra cui “Ulysse”, 1982, che ha vinto un César nel 1984), si è imposta di nuovo all’attenzione internazionale con Sans toit ni loi, ritratto di una vagabonda che persegue una disperata libertà per le strade del Sud della Francia.

Dalla collaborazione con Jane Birkin sono nati nel 1987 “Jane B. par Agnès V.”, dialogo per immagini tra la regista e l’attrice, e “Kung-fu master”, sull’incontro sentimentale tra una madre e un compagno di scuola della figlia. In “Jacquot de Nantes” (1991; Garage Demy) e nei documentari “Les demoiselles ont eu 25 ans” (1993) e “L’univers de Jacques Demy” (1993), la Varda ripercorre con limpido lirismo l’infanzia e i film del marito, Jacques Demy, morto nel 1990. È un omaggio alla settima arte anche l’ambizioso “Les cent et une nuits” (1995; Cento e una notte), con Michel Piccoli nel ruolo di un centenario Monsieur Cinéma. La Varda è poi tornata alle opere di ricerca con “Les glaneurs et la glaneuse” (2000) e “Les glaneurs et la glaneuse… deux ans après” (2002), ampio documentario in due parti sui robivecchi, e il cortometraggio Le lion volatile (2003). Ha pubblicato l’autobiografia Varda par Agnès (1994). Sono ancora da ricordare i documentari Cinévardaphoto (2004), Quelques veuves de noirmoutier (2006), lo struggente Visages, villages (2017) e Varda par Agnès (2019). Ha scritto l’autobiografia Varda par Agnès(1994). Tra i riconoscimenti ricevuti vanno citati la Palma d’oro alla carriera al Festival di Cannes 2015 e l’Oscar alla carriera 2018.

Bibliografia

Agnès Varda, a cura di S. Cortellazzo, M. Marangi, Torino 1990; Agnès Varda, éd. M. Estève, Paris 1991; A. Smith, Agnès Varda, Manchester 1998


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