Pierre-Paul ha 36 anni e un dottorato in filosofia. Nonostante i suoi titoli lavora come fattorino per una ditta di consegne di Montreal: “perché un fattorino guadagna meglio di un professore”. Crede che gli “intelligenti” – di cui si sente parte – non arrivino mai al successo perché questo vorrebbe dire truffare il prossimo. E’ un ragazzo introverso e forse un sognatore fallito. Dopo un pranzo in cui ha sciorinato, ancora una volta, il proprio sapere e la pungente critica verso la società contemporanea che mette al centro soltanto il denaro, viene lasciato dalla sua fidanzata – un’impiegata di banca divorziata con un figlio. Tornato al lavoro si trova, per caso, unico testimone di una rapina finita male. Sul marciapiedi si contano due vittime e due enormi borsoni abbandonati pieni di soldi. Pierre-Paul, dopo pochi istanti di esitazione, decide di diventare egli stesso parte del sistema sino ad allora criticato per sfruttarne le debolezze. E’ così che si appropria dei borsoni, caricandoli sul furgone delle consegne. Da quel momento inizierà una lotta senza quartiere per sfuggire sia alla polizia che lo braccherà sia alla gang proprietaria del malloppo (frutto di attività illecite). La soluzione per sfuggire ad entrambi verrà trovata nel fare squadra con una ex escort, un malavitoso appena uscito di galera e un avvocato esperto di paradisi fiscali.
Il film di Denys Arcand, “La caduta dell’Impero Americano”, in sala dal 24 aprile con Parthenos – che chiude la trilogia sul vuoto della società contemporanea, iniziata nel 1986 con “Il Declino dell’Impero Americano” e proseguita nel 2003 con “Le invasioni barbariche” – attraverso i toni della commedia solleva questioni di natura morale. Rubare soldi a dei criminali è un reato? E chi sono i buoni e i cattivi? E’ un reato vendere il proprio corpo per fare una vita agiata? Ed è un criminale chi guadagna 575 volte più del proprio dipendente? Sono questi ed altri gli interrogativi che pone il film di Arcand che ritiene che credere solo nel denaro è ciò che ha distrutto gli Stati Uniti facendo perdere di vista l’umanità. Buono il ritmo, forse un po’ troppo utopico il finale.