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Il terremoto nelle Istituzioni

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di Angelo Venti

I terremoti sono tutti uguali, eppure ognuno ha i suoi caratteri distintivi. Quello dell’Aquila – per gli effetti costituzionali, istituzionali, economici, sociali e di legalità prodotti dal modello di intervento messo in atto dal Dipartimento di Protezione civile – è una tragedia inedita nella storia dell’Italia repubblicana.
Una lunga emergenza che, per noi che l’abbiamo vissuta in prima persona, ha rappresentato un osservatorio privilegiato da cui si è visto, in anticipo sul resto d’Italia, le moderne forme di illegalità e anche i pericoli per la democrazia derivanti dalla istituzionalizzazione dello stato di eccezione. Una particolarità, questa, che può essere apprezzata nella sua drammaticità solo se ricordiamo e mettiamo a fuoco alcuni passaggi principali.

Lo sciame e l’attesa
Quella aquilana è la prima vera emergenza che, dal 2001, si trova ad affrontare la Protezione civile targata Bertolaso, modellata per la gestione degli affari legati ai Grandi eventi. Ma è un dramma che inizia diversi mesi prima del 6 aprile 2009: da dicembre l’Abruzzo interno è scosso da uno sciame sismico di potenza crescente, mentre il grosso del Dipartimento di Protezione civile è invece impegnato nella preparazione del G8 alla Maddalena: un affare di dimensioni colossali.
A L’Aquila l’inquietudine aumenta giorno dopo giorno e dalle istituzioni non arriva alla popolazione nessuna indicazione su come comportarsi, dove concentrarsi in caso di sisma. Non solo: l’organico dei Vigili del fuoco rimane quello ordinario (la notte della tragedia sono presenti solo in 11); il Pronto soccorso del San Salvatore, privo di un piano di evacuazione, addirittura è senza le scorte d’acqua per reidratare le centinaia di feriti. Persino la sede della Prefettura – che nei piani di emergenza è indicata come il Centro di coordinamento dei soccorsi – non viene spostata nemmeno in via precauzionale nonostante risulti inserita nell’elenco degli edifici a rischio: la scossa delle 3.32 la raderà al suolo. La macchina della Protezione civile, la cui mission istitutiva è composta solo da quattro punti (Previsione, Prevenzione, Soccorso e Ripristino), fallisce così i primi due clamorosamente.

La scossa
La scossa del 6 aprile colpisce quindi una città disarmata. In 23 secondi uccide 309 persone, ne ferisce 1.600 e provoca oltre 70mila sfollati. Sono 57 i comuni di un cratere che abbraccia le 3 province di L’Aquila, Teramo e Pescara: è la prima volta, dopo Messina nel 1908, che ad essere colpita direttamente è una città Capoluogo di regione. Si contano oltre 34mila edifici privati inagibili e 1.033 pubblici. Distrutti o inagibili anche molti dei centri decisionali, strategici e di servizio: Prefettura, Uffici giudiziari, Tar Corte d’appello, Corte dei conti, Municipi, Regione, Ospedale, Caserme di esercito e forze dell’ordine, scuole e Università.

I soccorsi
Le colonne mobili delle varie regioni arrivano relativamente in fretta e, anche se si nota l’assenza di coordinamento e difficoltà nella dislocazione sul territorio, nel complesso la fase del Soccorso funziona. Alla fine si conteranno 171 tendopoli ufficiali che daranno ospitalità a 32mila sfollati, oltre a decine di accampamenti spontanei.

Stato d’emergenza
La mattina del 6 aprile il Presidente Berlusconi dichiara lo Stato d’emergenza e, nel pomeriggio, il Consiglio dei ministri nomina Commissario per il terremoto Guido Bertolaso e, come nuovo prefetto dell’Aquila, Franco Gabrielli. Segue subito un terzo e importante passaggio: al Commissario si consegnano il Potere… Continua su mafie


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