Nell’ecosistema digitale vi sono molte mansioni che si intrecciano con quelle dei giornalisti, come negli uffici stampa. Continuare a profilare in verticale non aiuta a comprendere i mutamenti nella professione. La proposta di riforma del Cnog consente una nuova modalità di accesso, orizzontale, che punta su formazione, qualità e deontologia; la cui vigilanza deve restare nella piena autonomia dei giornalisti.
Qual è il ruolo del giornalismo nell’era digitale? Domanda che risuona sempre più spesso in concomitanza del dibattitto sulla riorganizzazione del settore prospettata dal governo. Domanda rispetto alla quale esprimo una stringata riflessione su un solo punto: la nuova dimensione orizzontale del giornalismo alla luce della proposta di riforma dell’accesso elaborata dal Consiglio Nazionale Ordine dei Giornalisti.
Partiamo dai tanti profili professionali innovativi che si sono sviluppati con la comunicazione web: social media manager, video maker, blogger e via dicendo. In questo contesto, stringando all’estremo, spesso i giornalisti “fluttuano” fra le diverse sfaccettature dell’ecosistema digitale.
Per comprendere meglio guardiamo un attimo all’evoluzione delle professione: il trend dei rapporti di lavoro giornalistici ci dice che gli occupati a contratto stabile sono in costante calo, mentre crescono in modo progressivo i giornalisti con posizioni di lavoro “autonome”. Piaccia o non piaccia questa è la realtà, dove i giornalisti autonomi si indirizzano su quello che trovano sul mercato, intrecciando spesso le diverse sfaccettature della dimensione digitale. Osserviamo, ad esempio, la fascia degli “uffici stampa” che nel lavoro giornalistico è l’unica che continua a crescere (dati Inpgi). Alle diverse angolazioni dell’ufficio stampa (portavoce, media relations, spin doctor, addetto stampa “tradizionale”) oggi si aggiungono quelli che operano sui social media, quello che girano filmati col telefonino, che curano i siti web. La domanda è: come facciamo a profilare la nuova figura di giornalista se, osservando le zone dove le mansioni giornalistiche sono meno nette, troviamo questi intrecci con profili che possono anche non essere classificati nel giornalismo?
Non è questa la sede per una analisi accurata sulla segmentazione del lavoro giornalistico (compito di esperti e centri studi) ma ritengo utile provare a ribaltare il punto di vista. La lettura verticale non ci fa cogliere quello che è un fenomeno in espansione (e basti vedere l’affluenza dei giornalisti ai corsi sulle tecnologie web): il fatto che oggi migliaia di giornalisti autonomi (e precari) si “muovono” in continuazione fra un profilo e l’altro. Un giorno più ufficio stampa, un giorno più social media manager, l’altro videomaker per poi riprendere a scrivere notizie; magari sommando e sovrapponendo questi compiti nell’arco della stessa giornata. In tanti vanno avanti cambiandosi spesso d’abito, ma senza mai rinunciare al loro essere giornalisti. Può questo fenomeno segnare la fine del giornalismo? Credo di no, anzi, ritengo che proprio con l’esplosione dei media digitali e la loro costante evoluzione (pensiamo a quelli che arriveranno a breve con il 5G) ci sarà bisogno di un “di più” di giornalismo.
In questo contesto la proposta di riforma messa in campo dall’Ordine dei Giornalisti coglie l’attualità della situazione e offre un risposta valida, ovviamente migliorabile come tutte le proposte. La proposta del CNOG ruota sulla riforma dell’accesso, superando il vecchio praticantato con un percorso di formazione accademica che ha il suo fulcro nella deontologia e nell’autonomia professionale. Questi due capisaldi – deontologia e autonomia – consentono di ridefinire in orizzontale la nuova figura del giornalista in modo indipendente dagli strumenti che usa e rafforzando il vincolo deontologico, compreso per quelli che “fluttuano” fra le svariate modalità offerte dai new media. Se si scrive una notizia su Instagram o Facebook o su altre piattaforme, il punto, al di là dello stile e della tecnica che si calibrano con lo strumento, è che la notizia abbia valore e forma giornalistica, abbia qualità, sia rispettosa della dignità umana in tutte le sue forme, come impongono le carte deontologiche della professione; lo stesso vale per il comportamento del giornalista. E’ questo un fattore chiave che dovrebbe ridefinire giornalisti e non giornalisti, dentro e fuori la rete.
Occorrerà più rispetto della deontologia, più disciplina, più qualità, più controllo delle fonti e di ciò che si immette nel sistema dei media, più formazione. E il vincolo deontologico, attenzione, deve continuare ad essere presidiato e vigilato in piena autonomia dai giornalisti. Guai ad avere organismi “terzi”, magari di nomina parlamentare o, peggio, governativa, che si occupino di vigilanza sui giornalisti. La proposta del Cnog è quindi solida, urgente ed attuale, per dare un nuovo slancio ad una professione che rischia di restare priva di bussola.