I fatti accaduti a Torre Maura non si possono far risalire a moti sanfedisti di razzismo o a rigurgiti neofascisti. Sono categorie queste che vengono appiccicate mediaticamente da sbrigativi e superficiali reportage o da commenti di politici ed opinionisti, risalenti a metodi di analisi storicamente superate, figlie delle ideologie contrapposte del Novecento.
A Torre Maura, gente comune, perbene, disoccupati, precari, pensionati al minimo, studenti-lavoratori per necessità, un tempo definibili come sottoproletariato urbano, piccoli e medi borghesi sospinti verso la proletarizzazione per un’ultradecennale crisi economica, si sono ribellati al trasferimento di una settantina di Zingari, Nomadi/Sinti, perché in loro è prevalso il senso dell’autodifesa, della sicurezza, della salvaguardia della proprietà privata, spesso violata proprio dalla piccola delinquenza riconducibile ai Rom.
Quelli di Torre Maura si sono opposti ai giochi meschini della politica e dell’amministrazione capitolina, che hanno calpestato la loro dignità, con decisioni autocratiche, senza nessun coinvolgimento della popolazione (nonostante il Municipio sia a maggioranza 5Stelle, compreso il presidente), come invece era successo anni addietro con i migranti extracomunitari di colore, che poi si sono integrati nel tessuto sociale.
Insomma, “Cristo si è fermato a Torre Maura”, parafrasando Carlo Levi!
Il tempo delle diseguaglianze e delle sopraffazioni dello stato e delle sue articolazioni locali si è fermato qui e nelle altre periferie romane, dove vive, anzi sopravvive oltre un milione di “Cittadini di Serie B e C”: i nuovi Sudditi dell’autarchica società digitale 2.0.
Sui Rom, Zingari, Sinti, Tzigani o Nomadi i media e i partiti di sinistra, i movimenti civili cattolici e laici non sopportano che si facciano dei distinguo né che si proceda con analisi lontane dal politically corret. Se cerchi di capire le ragioni profonde degli abitanti poveri e precari di Torre Maura sei un razzista, un neo-fascista, uno di Casa Pound, di Forza Nuova, quantomeno un “salviniano”.
I Nomadi di oggi sono in realtà stanziali, a volte con documenti stranieri contraffatti, altre volte italiani. Quelli stanziali da più lungo tempo, con cittadinanza italiana (identificabili a Roma con le antiche definizioni di “calderari”, “giostrai”, “carbonai”, “caldarrostari”), si sono trasformati in clan malavitosi, che spadroneggiano su intere periferie e il litorale a Sud e a Nord di Ostia. Sono anche ben addentellati nelle associazioni di categoria, specie come rappresentanti di ambulanti, e alcuni di loro sono scesi in politica col centrodestra.
I Rom di oggi non sono come quelli che furono perseguitati e sterminati in 600 mila nei lager nazisti. Così come gli ebrei europei di oggi, poco più di un milione, non sono identificabili con i 6 milioni di loro progenitori sterminati dai nazifascisti. L’antisemitismo odierno si nasconde dietro all’antisionismo, si confonde col negazionismo e il revisionismo storico. Non è neofascismo, ma razzismo e sovranismo. Gli ebrei sono visti come i portabandiera della globalizzazione culturale, tecnologica e finanziaria. Quindi, contro le “tradizioni”, italiana, francese o tedesca che siano.
Gli Zingari che girovagavano fino ai primi anni Settanta nella Capitale e nei dintorni dell’Agro Pontino erano giostrai, ramaioli, calderari e venditori di caldarroste, piccoli artigiani del legno, infilatori di coralli, commercianti di piccoli gioielli in oro ramato, che venivano dalla Jugoslavia, dalla Romania e dalla Turchia. Alcuni suonavano canzoni particolari della tradizione boema-magiara (tra l’altro, anni fa rielaborate con successo in “Boheme” dal duo di musicisti franco-canadesi Deep Forest).
Secondo le statistiche delle forze dell’ordine e giudiziarie, da decenni gli Zingari a Roma, e nel resto delle altre capitali europee, sono identificabili come ladri di appartamenti, borseggiatori, dediti alle elemosine e sfruttatori di bambini e ragazze minorenni, spesso costrette a sposarsi con uomini più anziani, trattenendo i loro documenti come ricatto. Vivono in campi nomadi orrendi, è vero, ma hanno a disposizione anche auto di grossa cilindrata. Non di rado la Guardia di Finanza ha scoperto “tesoretti” per decine di migliaia di euro.
No! Oggi i Nomadi non sono quelli descritti dall’immaginazione romantica “fin de siecle”, come la Carmen di Bizet o l’Esmeralda di Notre-Dame de Paris di Victor Hugo. I Rom di oggi, insomma, nulla hanno a che vedere con quelli che girovagavano per l’Europa, fino ai primi anni Settanta. Anche quelli legati a certe tradizioni tzigane, come i Rom della Camargue stanno cambiando “pelle” (i gruppi musicali alla Gipsy King sono un lontano ricordo e la cerimonia sui cavalli bianchi per la festa della Madonna del Mare è più un’attrazione turistica che una sentita tradizione). E le vicine popolazioni di Arles e Marsiglia si sentono minacciate per i continui atti di microcriminalità.
Nei documenti ufficiali dell’Unione Europea, gli Zingari vengono definiti Roma. Nel Nord Europa li chiamano Romeni. Da noi, ormai, è quasi un abuso chiamarli Zingari o Tzigani. Il politically correct vuole si definiscano Rom o Sinti o Camminanti. Nelle periferie delle grandi città europee, sui bus e le metro, tra le affollate strade turistiche generano allarme sociale. Reazioni sintomatiche dovute più al senso di difesa della persona e della proprietà privata, che al razzismo. Come ben documentato nella trasmissione domenicale da Lucia Annunziata, Mezz’ora in più, la gente di Torre Maura non trasuda razzismo né la si può definire neofascista. Tutt’altro! I Nomadi italiani non possono essere considerati “italiani speciali” con diritti prioritari rispetto ai loro, come hanno denunciato gli abitanti di Torre Maura, costretti a vivere in edifici popolari fatiscenti, con strade disconnesse, linee della metro e dei bus soppresse, criminalità comune senza controllo.
Non si può tutto relegare a razzismo e fascismo. Ci sono altre pulsioni nella società civile, altri diritti violati specie tra la gente proletaria o piccolo borghese, oppressa dalle tasse. La destra estrema cerca di cavalcare le proteste, ma non ci riesce. Strumentalizzano gli abitanti, ma poi la gente non vota per Casa Pound o Forza Nuova. Se la Sinistra fosse più vicina ai sentimenti e alle problematiche della gente comune, forse userebbe altre categorie e indicherebbe altre soluzioni. Basterebbe ricordarsi di quanto fecero le “Giunte rosse” dei sindaci Argan, Petroselli e Vetere, dalla seconda metà degli anni Settanta e fine Ottanta, includendo centinaia di migliaia di romani nel tessuto urbanistico e civile della Capitale, compresi i Rom. Fu ben ricambiata elettoralmente, fino a quando, quella stessa sinistra non rivolse la sua attenzione verso altri ambienti e quartieri.
Il malcontento dovuto ai riflessi della crisi economica, all’esosità delle tasse locali e regionali (a Roma, per l’ISTAT, sono le più alte d’Italia), al predominio della criminalità organizzata, spesso identificata con famiglie zingare stanziali e con quelli dei campi Rom, hanno spinto questa gente a forme di ribellione. Ma non parliamo di razzismo o di neofascismo. Qui si tratta di difendere una dignità calpestata e di vivere senza diventare soggetti vulnerabili, vittime di sopraffazioni spesso non perseguite.
Scorrendo le chat su Facebook, la maggior parte dei contributi sono inclini a cercare di comprendere le ragioni profonde di questo malessere. Esprimono anche un comune sentire antirazzista. Molti ricordano le loro esperienze personali sia di microcriminalità sia di incontri umani e solidali.
Chi oggi per svariati motivi opportunistici tira in ballo il neofascismo e il razzismo induce l’opinione pubblica e i media all’errore non solo semiologico. Oggi, la destra estrema, ma anche quella “in doppiopetto”, agita il pericolo di “invasione” dei migranti, rei di togliere lavoro, di fare molti figli e ridurre così “l’italianità” dello Stato. Sarebbero i migranti di colore, musulmani, a controllare il mercato della droga: la nuova mafia. E’ falso e facilmente documentabile il contrario.
Ma questo non è neofascismo, questo è solo paura di divenire cittadini del mondo, assumere un’identità sovranazionale, di essere globalizzati nel lavoro, nella cultura, nell’educazione, nella comunicazione. Questi fenomeni sono come quelli luddistici che rifiutavano l’ingresso delle macchine nelle fabbriche.
Sono destinati a perdere nel lungo tempo, ma nel breve fanno molti danni.