Unicum drammaturgico, entr’acte di prima grandezza per una prestazione d’attrice che è ‘pietra di luna’ minuscola ma consuntiva d’una prismatica carriera che qui è al diapason delle mille sfaccettature di strumento vocale e corporeo. “Giovanna D’Arco” che Monica Guerritore, sui praticabili del Vascello, rileva a dieci anni di distanza dalla sua prima edizione, pone a suo rinnovato obiettivo “l’essenza del coraggio quando è Anima che ci parla ed è Corpo che lotta contro le iniquità dei soprusi e del potere …”
Non solo al femminile, come dimostra la (purtroppo) strumentalizzata ritualità martirologica di Che Guevara, Jan Palach, Luther King “e di tante donne e uomini” che accolgono e raccolgono nella loro voce, e in ogni epoca di oscurantismo, l’insubordinazione, il dissenso, l’insurrezione di chi ha smesso di avere paura, di chi mette in gioco se stesso per andare oltre “dogmi, inquisizioni, tirannie”. Nel primato dei quali la stessa vita non merita di essere vissuta.
Protagonista, regista e autrice, Monica Guerritore- bella e ‘intarsiata’ come la Vita nel suo trascorrere senza infingimenti d’anagrafe- trascende, con severa e scarna evidenza (la bellica, grigia “nudità” dell’unico costume di scena) l’ appartenenza al gender, erogando alla passionalità universale del personaggio (emblematico di ogni scommessa di ‘fede’ estesa alle sue estreme conseguenze) quel peculiare humus di fierezza e indomita volontà che travalicano il tempo per dimostrare quanto il principio di autodeterminazone e libertà “non possa di per sé che essere eterno e fuori dal tempo”. In ciò corroborata, sulla spoglia scena (con al centro solo il ceppo che sprigionerà le fiamme della ‘divina punizione politico-ecclesiale’) dalle variegate, promiscue, eloquenti videoproiezioni di Enrico Zaccheo impresse di cronaca e di storia – ed una nostra, peculiare emozione dinanzi alla Renée Falconetti di Dreyer e al ragazzo che ferma con il suo solo corpo sparuto il mostruoso carrarmato in piazza Tienanmen -.
Sequenza, quest’ultima, che Monica Guerritore “desidera” che venga citata qual “manifesto” di ciò che ella intende per teatro politico: non solo nel sublimare in ‘versi corsari’ rabbia e fierezza della pulzella d’ Orléans, ma di tutto ciò che (penso a Garcia Lorca, Neruda, Majakovskij), attraverso poesia e teatro, riesce a trasformarsi (sublimarsi) in risonanza poetica-emozionale della comune condizione umana. E secondo – personale ipotesi – le recenti “professioni” di ecumenismo coesistente fra “credo e ragione” (emendati dal fanatismo e dai rapimenti del misticismo ieratico) enucleate dal poeta francese François Jullien in una recente, appassionante ricognizione che va da Pascal a Feuerbach (edita da Ponte alle Grazie).
Teologia sì, quindi, purchè non astratto funambolismo, e instradata verso la Liberazione dalle Verità indiscusse, rivelate, coercitive…
Ps Il copione di “Giovanna D’arco” è un mosaico di possente bellezza imbastito e intrecciato in maniera assolutamente originale con estratti da ‘gli Atti del processo’, i versi di Maria Luisa Spaziani, il contesto storico di Franco Cardini, brani di Nietzsche e Brecht, Plotino, Umberto Galimberti, Buddha, Clarissa Pinkola Estes, Norman O. Brown e ritratti alternativi di Giovanna reincarnati in figure che ne evocano la forza: su tutti Giordano Bruno e il suo De Immenso.
La colonna sonora, avvolgente ma non chiassosa, comprende Craig Armstrong, i Queen, i Carmina Burana, Barber, la Petite Messe Solemnelle.