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Giornalismo all’alba: storie, responsabilità e regole per un’informazione di dialogo

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Le notizie di ogni giorno viste alla luce di un’alba sempre nuova. Uno scenario di possibilità, valutazioni e considerazioni che si rinnova quotidianamente e pone i giornalisti di fronte alla sfida di saper comprendere e raccontare gli avvenimenti in un orizzonte che pone di fronte a diverse e imprevedibili scelte. Questo è l’approccio da cui parte il giornalista Piero Damosso, caporedattore centrale del Tg1 e curatore della rubrica «Tg1 Dialogo», per raccontare il suo lavoro e l’impegno quotidiano, indispensabile a chi pratica questo mestiere, nel discernimento dei fatti e delle opinioni.

L’alba è un momento cruciale della giornata: «Ogni giorno si possono avviare processi positivi nuovi» (p. 7). È il momento di un nuovo inizio, quando la luce rischiara luoghi e persone. L’A. assume questo tempo come paradigma di lettura e ne fa un modello di riferimento per chi come lui pratica il «giornalismo dell’alba», che «ti sveglia, ti scuote, ti mobilita» attraverso la verifica e il racconto di ciò che accade nel mondo. Una grande responsabilità, soprattutto se inserita nella cornice della Rai, servizio pubblico.

In questa ottica, il giornalista che si occupa di prima mattina dei notiziari che vanno in onda in quella fascia oraria, parla del «profumo delle cose nuove» e di come il «giornalismo dell’alba» sia la «dimostrazione che la realtà del fare informazione basandosi sui fatti vincerà sull’informazione fondata solo sulle opinioni» (p. 9). Damosso ne è convinto, e propone al lettore esempi circostanziati e argomentazioni fondate sull’esperienza acquisita in tanti anni di lavoro e di insegnamento (egli ha insegnato per molti anni giornalismo in diverse università e ha scritto biografie e saggi sulla comunicazione). Il tutto accompagnato da tre interviste fatte negli anni scorsi a Ezio Mauro, Enrico Mentana e Mario Calabresi.

In un periodo storico connotato dal proliferare delle fake news e di uno strumento rivoluzionario e globale quale è il web, il giornalista si trova a operare in un ambito dalle infinite possibilità, dove il rischio di perdere l’orientamento e seguire le sirene della facile audience o del «lato oscuro» e autoreferenziale dei social è molto alto. Per evitare tale rischio e non compromettere la credibilità e l’indipendenza del giornalismo, garantendo così un vero servizio alla democrazia attraverso una informazione corretta e autorevole, al giornalista non resta che puntare sulla conoscenza: scegliere la strada del dialogo, dell’impegno civile, sociale e culturale. Si tratta di «fare notizia», avendo come bussola la ricerca della verità. «Quell’invito di Gesù contenuto nel Vangelo di Giovanni: “La verità vi farà liberi” è per i giornalisti e per gli operatori della comunicazione un’espressione davvero significativa» (p. 74). «Il rapporto con la verità è la madre di tutte le battaglie, il faro della professione, il nocciolo della missione» (p. 71).

Ma si deve cercare anche il bene del prossimo e della democrazia. «Ho sempre pensato (e continuo a pensarlo) – scrive l’A. – che la difesa della democrazia rientri nei valori del servizio pubblico televisivo. Non possiamo essere neutrali. L’informazione, la libera informazione, è per sua natura sposa di una concezione democratica del potere, dello Stato, delle realtà locali. La libera informazione è incompatibile con il totalitarismo ideologico e con qualunque forma di dittatura» (p. 38). Di qui il richiamo, che innerva tutto il libro, a non manipolare la realtà, ispirato da papa Francesco: «Bergoglio indica una strategia dell’“avvicinamento” per il giornalismo migliore, che è la sua “prossimità” alla vita delle persone che incontra. In pratica per conoscere la realtà, e raccontarla, bisogna contemplarla, non possederla correndo facilmente il rischio di manipolarla» (pp. 46 s).

Un approccio che in questi tempi è sempre più raro e di cui, proprio per questo, c’è grande bisogno.


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