Esiste una “Nuova famiglia” della ’ndrangheta cosentina che uccide e che si infiltra nel business della droga e delle estorsioni. È la Corte di Cassazione a metterlo nero su bianco con una sentenza storica che così riconosce l’esistenza di un clan diventato egemone e che fa affari con la politica. Confermate tutte le condanne di primo e secondo grado compreso l’ergastolo a Maurizio Rango, considerato il temuto boss della cosca degli zingari, la nuova famiglia, appunto, che dominava Cosenza. Una nuova aristocrazia criminale nata tra i gruppi dei nomadi che ormai da tempo risiedono nella città di Telesio, occupando quei quartieri un tempo sinonimo di degrado e abbandono. Da lì sarebbero riusciti a governare tutto e a imporre il pizzo sui commercianti. Fino a quando la cosca Bruni detta dei “Bella bella”, ben radicata sul territorio, si rese conto che il nuovo gruppo degli zingari mischiati agli italiani, stava spostando gli equilibri criminali in città e provincia.
MAFIA E POLITICA Da qui la guerra tra i clan e il ruolo di boss, oggi diventati pentiti come Adolfo Foggetti e Daniele Lamanna che hanno cominciato a svelare agli inquirenti tutti gli intrecci tra mafia e politica. Dettagli, circostanze, personaggi coinvolti in una trama ritenuta credibile dai magistrati e da tutti i giudici che con questa sentenza hanno messo il sigillo di credibilità ai collaboratori di giustizia e a una maxi inchiesta, condotta dall’allora pm della Dda Pierpaolo Bruni, oggi procuratore capo di Paola. Un lavoro magistrale che ha portato non solo a blitz e arresti, ma a condanne – appunto diventate ormai definitive – con boss all’ergastolo e pentiti risultati più volte credibili e attendibili. Ma che ha portato anche al coinvolgimento di politici, come il consigliere regionale Orlandino Greco, ex sindaco di Castrolibero e indagato assieme a esponenti del clan degli Zingari per voto di scambio. Tutto nasce da quella maxi inchiesta che oggi vede boss e gregari condannati in via definitiva ed esponenti politici indagati per mafia e in attesa che il Gup decida per un eventuale rinvio a giudizio o proscioglimento. Il verdetto degli Ermellini promuove in toto l’impalcatura dell’inchiesta perché regge in toto l’accusa.
L’ATTENTATO AL PM Ed è nell’ambito di quelle complesse e delicate indagini, nel 2014, che emerse anche l’inquietante notizia del progetto di un attentato proprio al magistrato che in quel periodo stava conducendo quelle indagini. Il nemico numero uno dei clan era il procuratore Bruni. Così dal carcere arrivò la “soffiata” di un detenuto che alla polizia penitenziaria confessò che volevano fare fuori proprio il pm Bruni, il magistrato crotonese che ha firmato diverse indagini sulle collusioni tra mafia e politica in Calabria. Il detenuto raccontò di essere stato informato dai “compari” rimasti in libertà che il magistrato viaggiava a bordo di una blindata di colore grigio, protetto solo da due guardie del corpo e conoscevano perfettamente il tragitto che ogni giorno faceva per raggiungere il suo ufficio. Lo avrebbero “bloccato” sulla Statale Silana-crotonese in un tratto in cui non ci sarebbero le telecamere. Insomma, tanti particolari inquietanti che misero in allarme e destarono tantissima preoccupazione per la sua sicurezza. Ma quelle indagini andarono avanti e i risultati sono visibili. Diversi giudici lo confermano e la Suprema Corte ha messo il sigillo.