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Decreto sblocca-tangenti, non sblocca-cantieri

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Andrebbe battezzato col suo vero nome, quello che forse meglio rispecchia i suoi prevedibili effetti. Non decreto sblocca cantieri, ma sblocca tangenti. Per almeno due ovvii motivi.

Il primo, incomprensibilmente rimosso dal dibattito pubblico, è che quei cantieri si sono già sbloccati. Tra il 2017 e il 2018 il numero di procedure di gara pubblica è cresciuto del 28%, quello degli importi messi a bando del 25,3%.

Secondo tutti gli operatori proprio il moltiplicarsi e l’instabilità delle regole, il continuo affastellarsi di nuove norme e procedure sono responsabili di vischiosità, ritardi, sprechi, e dunque del complessivo malfunzionamento del sistema degli appalti. Proprio quando il codice degli appalti stava finalmente entrando a regime, ecco puntuale col decreto-legge che sta per entrare in vigore la contro-riforma che rivoluziona ben 32 su 220 articoli, una nuova stratificazione di disposizioni tutte da capire, leggere, interpretare, coordinare con quelle preesistenti.

Ma è la direzione del provvedimento a svelarne la natura potenzialmente criminogena: “Stiamo costruendo un’autostrada all’illegalità”, ha commentato il Presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone. Una liberalizzazione dell’appalto pubblico che somiglia a un “liberi tutti” per corrotti e corruttori. Valga il vero e proprio coming out del sottosegretario leghista alle infrastrutture Siri: basta con l’Autorità anticorruzione e con l’impiccio di regole e controlli, vincoli di legalità da considerarsi al pari di una “malattia autoimmune”, giacché nella gestione degli appalti occorre soprattutto “buon senso”.

Ed eccolo qua il “buon senso” criminogeno del decreto sblocca tangenti: innalzamento vertiginoso da 40 a 200mila euro della soglia finora prevista per affidamenti diretti di lavori senza gara; estensione delle procedure negoziate con competizione ridotta a tre imprese invitate; percentuale più elevata di lavori liberamente subappaltati dalla ditta vincitrice – coi subappalti del tutto liberalizzati nei consorzi di imprese; riduzione dell’aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa e ritorno in pompa magna del prezzo più basso (integrato da astrusi calcoli delle medie delle offerte con soglie di esclusione, da sempre pane quotidiano dei cartelli collusivi di imprenditori che truccano le gare); abolizione delle linee guida dell’Autorità anticorruzione; cessazione dell’obbligo di progetti esecutivi per andare a gara; cancellazione dell’albo dei professionisti cui attingere per la formazione delle commissioni aggiudicatrici – ogni ente farà da sé – ed eliminazione del divieto di affidare lavori in subappalto a imprese partecipanti alla gara (spesso semplice contropartita negli accordi per concordare le offerte).

Per finire, ciliegina su una torta maleodorante, moltiplicazione indiscriminata a discrezione dell’esecutivo di figure commissariali con ampi poteri in deroga alla legislazione ordinaria e allo stesso codice degli appalti. Si tratta, per chi si fosse distratto, del modello criminale della “cricca della protezione civile” moltiplicato all’ennesima potenza.

Lo scenario che si delinea dalla futura applicazione dal decreto sblocca tangenti somiglia dunque all’Eden della corruzione futura, degli accordi collusivi tra imprenditori, delle incontrollabili infiltrazioni mafiose nei subappalti.

Tutto in nome di un presunto “buon senso”. Forse lo stesso “buon senso” che potrà indurre qualche imprenditore vorace ad accordarsi sottobanco con amministratori pubblici pragmatici e di “malleabile” moralità, investiti di così estesi poteri arbitrari slegati da vincoli e supervisioni, come già negli anni ruggenti di tangentopoli, per attingere generosamente dalla cassaforte degli appalti pubblici.

Si tratta di un tesoretto di circa 200 miliardi di euro all’anno che, c’è da scommettere, d’ora in avanti sarà in parte convogliato a rimpinguare bilanci aziendali di imprese inefficienti ma dalle buone entrature politiche, finanziare partiti e carriere in ascesa, campagne elettorali, propaganda, strutture politiche, inquinando così tanto il mercato che la democrazia.

Alberto Vannucci Professore di Scienza politica presso l’Università di Pisa, Ufficio di Presidenza Libera e autore di Atlante della corruzione

Da liberainformazione


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