Settant’anni: ci è arrivato anche Massimo D’Alema e mai come in questo caso può essere un’occasione per tracciare un bilancio di un’esistenza vissuta sempre da protagonista.
D’Alema è un uomo di battaglia, di tante battaglie, un personaggio di primo piano della politica italiana fin dagli anni Settanta, quando ricoprì l’incarico di segretario nazionale della FGCI per poi lanciarsi come dirigente del Partito comunista, all’ombra di Berlinguer e successivamente di Natta e di Occhetto, prima di diventare la nemesi di quest’ultimo in seguito alla sconfitta della Gioiosa macchina da guerra alle elezioni del ’94.
D’Alema, uomo coriaceo, tosto, determinatissimo, sempre pronto a battersi per le sue idee, l’esatto opposto dell’uomo di paglia, talvolta molto presuntuoso, talvolta dotato di una profonda e squisita umanità, comunque al centro della scena, convinto, forse con una punta di arroganza, di doversi sempre sedere a capotavola o, peggio ancora, di dover determinare lui il capotavola, abilissimo nei giochi della politica, dotato di realpolitik e anche di un po’ di cinismo, se necessario, ha attraversato mezzo secolo del grande romanzo della sinistra italiana uscendone sostanzialmente indenne.
Andò a Palazzo Chigi al crepuscolo della stagione ulivista, dopo aver sbagliato, l’anno prima a Gargonza, a non comprendere i tempi nuovi e a far naufragare il progetto del PD che allora avrebbe avuto un senso mentre quando è nato, dieci anni dopo, in un contesto complessivo radicalmente mutato, si è rivelato un sostanziale errore.
Negli anni, frequentando una parte delle sue iniziative, ho imparato che D’Alema può ssere criticato, che si può essere in disaccordo, anche pesantemente, con lui, che gli si possono rinfacciare molteplici responsabilità, che pure ha, che non è certo esente da colpe nel declino della sinistra ma che è sempre sbagliato sottovalutarne la tenacia, la cultura, il carisma e la profondità d’animo e intellettuale.
Di D’Alema si può esser talvolta avversari, mai nemici, anche perché sul terreno dello scontro quasi fisico, del corpo a corpo politico vince inesorabilmente lui, se non altro per esperienza e per l’innato gusto della sfida che lo caraterizza.
Massimo D’Alema, per utilizzare un’espressione calcistica, non è un tipo che tira indietro la gamba. Lotta, vince, perde, si rialza dopo le cadute e nessuno è mai riuscito a zittirlo. Considerando da quanto tempo sta sulla breccia, vuol dire che ha stoffa e che, nonostante tutto, ci crede ancora.
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