Credo che al folle, irriverente, garbato, inarrivabile e sapido Bordin questa storia sarebbe piaciuta molto. Oggi, infatti, avrei voluto scrivere un pezzo su Topolino, sui suoi settant’anni e sui miei ricordi di bambino, quando il Topo della Disney ne compiva cinquanta e uscì una raccolta con i primi tre numeri. A Bordin, anche se non so in che rapporti fosse con i fumetti, credo che questo accostamento sarebbe piaciuto, se non altro perché smitizza la sua figura, rende perdonabile l’eccesso di aggettivi che ho scientemente, e colpevolmente, utilizzato all’inizio e dona un tocco di originalità al ricordo di una figura sulla quale in questi giorni saranno versati fiumi d’inchiostro. Troppi, caro Massimo, ma rassegnati: non possiamo farne a meno.
Ciascuno di noi ha un suo ricordo, una sua emozione, un momento che ha condiviso con te, un suo scazzo, una sua sensazione, ascoltandoti o leggendoti, e oggi un senso di vuoto che si fa straziante all’idea che fra poco della tua storia, della tua eredità, della tua voce e dei tuoi valori liberali e liberatari potrebbe non rimanere più nulla, a causa della dissennata decisione di questo governo di togliere il finanziamento pubblico a Radio Radicale e ad altre testate che, per la loro stessa natura, non possono affidarsi unicamente al mercato.
È stato già scritto da più parti che, andandotene, ti sei fatto beffe di chi ha emesso una condanna senza appello nei confronti di un’istituzione che non ha mai smesso di dar voce a tutti, nessuno escluso, rispettando le idee di chiunque, non censurando alcun pensiero, sferzando il potere e restituendo un minimo di civiltà a un dibattito pubblico mai così triste e disumano.
È stato già detto molto, caro Massimo, pertanto sarò breve, come piaceva a te. Ricordo ancora il giorno in cui ti incontrai, l’unica volta della mia vita, all’uscita dal Teatro Brancaccio, al termine di un’iniziativa promossa dall’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. Era il marzo del 2017, parlammo per qualche istante, mi desti il tuo numero e di cellulare e mi lasciasti con un cenno di saluto, la tua consueta cortesia e quella leggerezza che era propria del tuo carattere, capace di resistere al logorio del tempo, agli affanni, alle crisi, agli scontri e alle tante delusioni che ciascuno a partire in questi anni.
E io resto qui, con l’ultimo numero di Topolino davanti, il tuo numero sullo schermo dello smartphone, una tua foto di spalle e il silenzio intorno. Resto qui pensando all’articolo che avrei voluto scrivere e che, invece, non scriverò mai, certo che il Topo mi perdonerà e che tu, a modo tuo, mi sarei grato. Addio, cara, inconfondibile voce roca che non ha consentito a nessuno di spegnerla.
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