Di Roberto Bertoni
Evitiamo di caricare sulle spalle di una ragazza di sedici anni responsabilità che non sarebbe in grado di sostenere e che potrebbero minarne i già non semplici equilibri. Greta Thunberg viene a Roma, dove incontrerà il papa e le istituzioni italiane, prima di partecipare all’edizione italiana delle giornate per il clima che ha lanciato con la sua protesta innovativa e silenziosamente rumorosa, sedendosi davanti al Parlamento di Stoccolma e proclamando uno sciopero per la scuola che è diventato un simbolo planetario di rivolta. Tanto ci basti, senza colate di controproducente retorica.
Ciò premesso, ha ragione Carlin Petrini quando parla esplicitamente di un nuovo Sessantotto: lo è e non avrebbe senso ignorare le proporzioni globali di questa protesta giovanile che è un inno alla vita nonché alla maturità, alla consapevolezza e alla battaglia comune in difesa di una Terra minacciata dalla violenza di uno sviluppo insostenibile, con un’economia che esclude e uccide, la devastazione delle risorse e dell’ambiente, l’inquinamento e la progressiva distruzione dei diritti. Greta è un’icona perché è riuscita là dove molti altri hanno fallito, dove personaggi assai più grandi e influenti di lei si sono dovuti arrendere, dove sociologi, politologi e persino il Santo Padre hanno dovuto fare i conti con la barbarie, il declino e il degrado del nostro mondo.
Greta ha mobilitato i giovani di tutti i continenti, contribuito a risvegliare le coscienze e dato un senso a una lotta che rischiava di rimanere di nicchia, affidata al buon cuore di poche persone sensibili; insomma, ha sognato l’impossibile e lo ha messo in atto. E non è riuscita in questo miracolo laico nonostante la sua giovanissima età ma proprio per questo, grazie alla sua freschezza, alla sua ingenuità e alla sua magnifica innocenza. Ci è riuscita perché non ha avuto paura di pronunciare, alla COP24 di Katowice, le riflessioni che molti avrebbero voluto formulare ma solo lei ha avuto la forza sfrontata di esporre. Non ha chiesto compassione, pietà o solidarietà ma rabbia, partecipazione, lotta, lasciando intendere che per lei i diritti sono sacri e che o si tengono per mano o sono destinati alla scomparsa. Ha usato la semplicità della sua adolescenza, ha creduto in se stessa e, soprattutto, negli altri, ponendosi alla guida di una generazione che potrebbe esprimere potenzialità enormi ma non lo fa perché sembra essersi già rassegnata al peggio. Lei, al contrario, ha detto a tutti noi di alzarci dal divano e scendere in piazza e, in cambio, almeno finora, non ha chiesto nulla, pur avendo ricevuto una popolarità incredibile e addirittura una candidatura al Nobel per la Pace, che a parer mio meriterebbe.
No, Greta non è personaggio da santini o da frasi mielose. Non è una che si accontenta o alla quale basta la notorietà, anche perché ne comprende la natura effimera. Greta ha il senso dello Stato e delle istituzioni, un forte amore per l’Europa, un disprezzo per il populismo e per il trumpismo oggi imperanti e costituisce un’ancora alla quale aggrapparsi per provare a non affondare, a reagire, a rispondere colpo su colpo all’abisso nel quale siamo sprofondati. Rappresenta, in poche parole, il risveglio della civiltà dopo troppa paura e infiniti tormenti. È una voce interiore che ci dice che possiamo avere ancora un futuro, è un sussulto di speranza, una dichiarazione d’amore per la natura e per l’umanità nel suo complesso.
Greta Thunberg è tutto questo, con le sue treccine e la sua espressione costantemente seria che, tuttavia, riesce anche a lasciarsi andare, ogni tanto, a un sorriso. Non graviamola di ulteriori responsabilità: fa già tantissimo ed è un contributo meraviglioso alla rinascita dei nostri valori, primo fra tutti la gioia di esserci riscoperti una comunità solidale in cammino.
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