Nella sessione mattutina della conferenza annuale dell’Ufficio per la Libertà dei Media dell’OSCE tenutasi venerdì 12 aprile 17 giornalisti, in prevalenza da paesi balcanici ed ex-sovietici, hanno denunciato le minacce subite a causa del proprio lavoro. Mentre le testimonianze da Francia, Germania e Italia hanno raccontato la volontà di resistere agli attacchi delle forze estremiste, siano queste religiose o politiche, numerose altre hanno riportato la difficoltà di essere considerati alla stregua di ‘terroristi’ nel proprio paese.
Più voci hanno riferito che in Asia Centrale, Crimea o Turchia è sistematico l’utilizzo delle leggi anti-terrorismo per limitare la libertà di espressione. In Serbia il portale Peščanik è stato recentemente incluso tra i media ‘nemici del popolo’. La sua fondatrice, Svetlana Lukić, era già finita negli anni Novanta in una lista nera dell’allora presidente Slobodan Milošević: “Il giornalismo indipendente in Serbia è sopravvissuto alla dittatura, ma non so se sopravviverà al regime democratico di Aleksandar Vučić”, ha affermato durante il suo intervento, aggiungendo: “Non odio il mio paese, ma chi non rispetta i diritti umani”. Dalla regione le ha fatto eco il giornalista bosniaco Vladimir Kovačević, il quale ha chiesto, assieme ad altri, l’imposizione di sanzioni commerciali a quei paesi che non rispettino le libertà dei media.
Dalla platea i rappresentanti diplomatici presenti sono intervenuti più volte per ridimensionare le accuse di impunità o indifferenza governativa. Sul palco il procuratore speciale per crimini High Tech e pubblico ministero della Serbia Branko Stamenković ha sottolineato che la ripresa nel 2018 delle attività del Gruppo di Lavoro Permanente per la Protezione dei Giornalisti sta portando a una maggiore perseguibilità dei reati contro i giornalisti in Serbia, come dimostrato dal recente giudizio sul caso Ćuruvija che definisce “un panorama ben diverso da quello descritto da Lukić”.
Nella sessione pomeridiana della conferenza i responsabili delle maggiori organizzazioni internazionali per la difesa della libertà di stampa hanno potuto fare il punto sui sistemi effettivi di tutela dell’attività giornalistica. Tom Gibson del Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), nel suo lavoro di advocacy officer a Bruxelles, ha rilevato una tendenza dell’Unione europea a valutare la gravità delle violazioni alla libertà di stampa secondo un doppio standard dettato dagli interessi economici in ballo con il paese imputato. Pauline Adès-Mével di Reporter Senza Frontiere ha enfatizzato l’importanza del monitoraggio sia come strumento di allarme che di prevenzione, sottolineando la necessità di raccogliere con accuratezza non soltanto i dati degli omicidi, ma di ogni tipo di minaccia. L’approvazione da parte dei 57 paesi membri dell’OSCE della decisione ministeriale per la protezione dei giornalisti lo scorso dicembre è riconosciuta come un avanzamento che diventerà davvero significativo solo se troverà presto implementazione tra i firmatari.
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