La cultura ambientalista ha spesso sottolineato la necessità di pensare al futuro tenendo conto delle sette generazioni a venire e dell’impatto che le nostre azioni attuali avranno su di loro. Ora una di queste generazioni ha cominciato a prendere la parola. Un fatto semplice e straordinario insieme, in un Occidente che non è abituato a lasciare parlare i soggetti in prima persona, avendo mantenuto l’abitudine colonialista di parlare per gli altri per meglio controllarne i discorsi, i pensieri e persino le aspirazioni.
Questa giovane generazione è rappresentata da una ragazza arrabbiata e determinata. Il fatto che Greta Thunberg venga da una delle nazioni più ricche al mondo rischia di nasconderci altre voci del Sud del mondo che già da anni stanno gridando la loro urgenza: governi con i piedi nell’acqua come nelle Maldive, popolazioni ridotte al grado zero di infrastrutture come in Mozambico. Abbiamo bisogno che le voci si intreccino e si rinforzino a vicenda per imparare la via stretta della giustizia climatica, della riconversione dall’economia del carbone a un’economia circolare.
La crisi climatica ha svelato i piedi fragili d’argilla su cui si regge l’economia capitalistica, orientata strutturalmente ad appropriarsi delle risorse naturali senza preoccuparsi di rigenerarle, anzi avvelenando terre, acque e genti. Ma le forme di governo che ancora sono dominanti non ascoltano né le voci che vengono dal Sud del mondo né quelle che vengono dalle giovanissime generazioni. Portano avanti le loro politiche “usa e getta”, che garantiscono loro la permanenza al potere a breve termine.
Il movimento Fridays for Future ha dalla sua la forza dell’età e ha colto tutti di sorpresa restituendo fiducia nel futuro, ma questa forza va sostenuta con analisi, studi e buone pratiche continue e testarde, come è stata ed è testarda Greta.
Lei e molte altre giovani donne stanno mostrando la profondità di una guida spirituale femminile che lotta per proteggere la Terra madre e le madri e le figlie di ogni paese, a partire dalla consapevolezza di corpi che portano la vita, ma che sono i più esposti alle minacce climatiche e alle violenze fatte all’ambiente. L’impegno per la giustizia ambientale e climatica affonda le sue radici nei corpi delle donne, nelle pratiche pacifiste e nonviolente che indicano alternative al consumo avido delle risorse del pianeta, non da ultimo al consumo di persone intese come merci, corpi muti da sfruttare. Proteggere le terre da estrazioni insidiose, proteggere i semi per dare un futuro alla biodiversità sul pianeta e proteggere i corpi in una prospettiva di giustizia di genere significa dare materialità all’impegno per la pace. Già ora le popolazioni costiere del mondo sono minacciate dallo scioglimento dei ghiacci e fenomeni climatici estremi avvengono in molte parti del mondo, mentre la finanza guadagna grazie a sistemi di compensazione “verde”, o a proroghe del controllo sulle emissioni di CO2.
La vita invece non può essere negoziata, né quella della Terra né quella delle giovanissime manifestanti che non vogliono lasciare ai soli governi la decisione sul futuro. Un futuro che va costruito già da oggi non con mediazioni e compromessi interni ai rapporti di forza tra i vari governi e le forze finanziarie in gioco, ma attraverso passi di giustizia.
La transizione da una economia basata sul carbone e sulle risorse fossili, a una economia circolare che renda conto della natura organica del pianeta, implica un cambio di prospettiva e una dimensione spirituale. Se la Terra è un insieme interrelato e vivente di cui noi siamo parte, vengono in primo piano alcune parole: la reciprocità arricchisce il concetto di responsabilità per il pianeta e l’orizzonte futuro dà un respiro più ampio alle scelte fatte oggi; i diritti umani e i diritti delle donne contano, come contano i diritti delle future generazioni. Il cambiamento di cui il pianeta ha bisogno richiede la nostra partecipazione e la nostra azione. Forse lo avevamo dimenticato, ma Greta e tanti e tante giovanissime come lei ce lo hanno ricordato con urgenza.