Compie ottant’anni Claudio Magris, triestino, voce intensa e autentica della Mitteleuropa, avvezzo a scrivere nei bar della sua città che non devono essere poi così dissimili dai tempi di Saba e di Svevo.
Un patrimonio letterario di inestimabile valore, una cultura poliedrica, una conoscenza del mondo senza eguali, una ricchezza stilistica e una profondità di scrittura che solo pochi giganti hanno saputo garantire con altrettanta passione e coerenza.
Leggere Magris è come acquistare un biglietto di viaggio e cominciare a vagare senza meta a bordo delle sue opere, lungo il Danubio che tanti artisti ha saputo ispirare, emblema del Novecento e della sua eredità di sangue, ma significa anche immergersi in atmosfere indimenticabili e colme di meraviglia, in paesaggi mozzafiato, in mondi sconosciuti ai più e in emozioni in grado di indurci a considerare la storia sotto un altro punto di vista.
Dire Claudio Magris è come dire orizzonte, dato che i suoi capolavori guardano sempre avanti, sempre al di là dei muri, delle barriere e dei fili spinati, della violenza e dell’odio, della follia, delle rappresaglie e delle ingiustizie, chiunque sia a commetterle.
Dire Magris è un antidoto al conformismo, a qualsivoglia pensiero unico, alla barbarie imperante, alla follia di questo tempo di nulla, al razzismo, alla grettezza e alla stupidità umana.
E fargli gli auguri, acquistare le sue opere e leggerlo è il miglior omaggio che si possa rendere all’arte, alla poesia, alla narrativa, alla grandezza umana e al coraggio di resistere quando tutto sembra essere perduto.
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