Aveva un mese e mezzo il bimbo nigeriano morto a Genova dopo che gli era stata praticata in famiglia la circoncisione: è la terza vittima in poche settimane. Interessata la comunità musulmana: circa 1.500 piccoli ogni anno rischiano la vita. L’appello: “Inseriamo l’intervento nei Lea per renderlo sicuro e accessibile”
ROMA- Aveva appena un mese e mezzo di vita: è morto a Genova dopo che gli era stata praticata, in casa, la circoncisione. A nulla è servito l’intervento del 118, chiamato nel cuore della notte da due donne, la mamma e la nonna del piccolo: il personale medico sanitario non ha potuto fare altro che constatarne il decesso. La famiglia è nigeriana, e la circoncisione è stata praticata per ragioni culturali, con l’aiuto di una terza persona: non il padre del bambino (che a quanto risulta si troverebbe in questi giorni all’estero per lavoro) ma un altro uomo. Dovuto l’atto del pubblico ministero che ha aperto un fascicolo per omicidio preterintenzionale.
E’ il terzo caso in pochi mesi del quale si viene a conoscenza: solo qualche giorno fa a Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, un bimbo di cinque mesi era morto in casa in seguito ad una circoncisione praticata dai genitori. E a dicembre scorso a Monterotondo, vicino Roma, due fratellini – anch’essi nigeriani – erano stati sottoposti a circoncisione in casa: uno era morto, l’altro era stato ricovero in ospedale, riuscendo poi a sopravvivere.
La vicenda di Genova conferma ancora una volta la necessità, di cui molto si è parlato nei giorni scorsi, di garantire un accesso certo e sicuro nelle strutture sanitarie a quanti vogliono praticare la circoncisione rituale sui loro bambini. Le comunità direttamente interessate sono quella ebraica e quella musulmana, ma mentre il rito ebraico di fatto viene svolge nelle strutture della comunità all’ottavo giorno di vita del piccolo, come da tradizione, molto più pericolosa è la situazione delle comunità musulmane, in cui la circoncisione viene praticata ad un’età variabile.
Secondo i dati riferiti da Foad Aodi, fondatore e presidente dell’Associazione medici di origine straniera (Amsi), sono circa 11 mila ogni anno i bambini residenti in Italia che vengono circoncisi: 5 mila di questi interventi sono eseguiti in Italia, altre 5/6 mila nei Paesi di origine durante le festività o permessi lavorativi (con un aumento del 20% a causa delle difficoltà di effettuare la pratica in Italia). Tra i 1.400 e i 1.750 bambini circoncisi in Italia subiscono l’intervento al di fuori di strutture sanitarie e quindi in condizioni precarie e inadeguate per quanto riguarda igiene e sicurezza.
“La pratica della circoncisione rituale maschile non rientra nei Livelli essenziali di assistenza e sul territorio nazionale c’è una grande eterogeneità di accesso alla procedura”, spiega Simona La Placa, responsabile gruppo di lavoro nazionale per il bambino migrante della Società italiana di pediatria. “Ci sono realtà in cui è possibile eseguirla in ospedale, in day hospital o day surgery e altre in cui non è possibile”. Oggi i genitori che per motivi religiosi o culturali vogliono far circoncidere il proprio figlio trovano risposte diverse nell’ambito del Servizio sanitario regionale: si va dal riconoscimento nell’ambito dei Lea da parte della Regione Toscana, “dove la procedura è a carico del Servizio sanitario regionale”, alla possibilità di eseguirla a carico del richiedente con la tariffa in vigore per la circoncisione terapeutica in Friuli Venezia Giulia fino alla completa assenza di risposta da parte di altre regioni. “Dove non ci sono risposte o dove l’unica possibilità è rivolgersi ai privati, con costi elevati, le famiglie intervengono in maniera casalinga con il rischio di complicanze a causa di procedure eseguite da personale non medico in condizioni non di sicurezza per il bambino. Gli esiti – evidenzia La Placa –possono esporlo a infezioni o emorragie o metterlo in pericolo di vita”. Inoltre, alcune strutture pubbliche consentono la pratica in ospedale solamente al compimento dei 4 anni di età, una soglia troppo alta che contribuisce ad accrescere il fenomeno della clandestinità.
Nei giorni scorsi il Centro islamico culturale d’Italia, noto come la Grande moschea di Roma, ha lanciato un appello ai musulmani in Italia affinché si avvalgano unicamente di strutture sanitarie pubbliche o private per svolgere la circoncisione rituale, evitando – ha detto il segretario generale, Abdellah Redouane – circoncisioni “fatte in casa o in ambienti tutt’altro che sterili, da persone non qualificate e che mettono a rischio di morte o di malformazioni gravi i bambini, spesso piccolissimi”. E ha rilanciato la richiesta – che era stata abbracciata anche dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri – di inserire la circoncisione rituale nei Livelli essenziali di assistenza, di modo che sia fornita a chiunque ne faccia richiesta a costi accessibili e in ambiente protetto.
Oggi, dopo i fatti di Genova, Foad Aodi, presidente dell’Amsi e anche consulente del’Ordine dei medici di Roma, rilancia: “Chiediamo un intervento e incontro urgente al Ministro della Salute Giulia Grillo per fermare il massacro dei bambini innocenti da #CirconcisioniCandestine. La nostra campagna congiunta Amsi -Fnomceo e Ordine dei medici di Roma ha ottenuto adesione da tutti i sindacati, albi professionali, associazioni di categorie, comunità arabe e musulmane, centri culturali e moschee e comunità di origine straniera. Adesso tocca alle istituzioni competenti incontrarci, dopo questa nuova tragedia a Genova è urgente dare risposte. Anche perché, dopo la morte del bambino a Reggio Emilia qualche giorno fa, sono arrivate più di 100 richieste all’Amsi e alla Comunità del Mondo Arabo in Italia (Co-mai), da famiglie di immigrati per interventi riparatori che hanno avuto complicanze e addirittura difficoltà di urinare e sterilità dopo circoncisioni.