Cari amici e colleghi di “Articolo 21” e più in generale, tutti i detentori di quel tesserino rosso bordeaux che attesta la nostra appartenenza all’ordine dei giornalisti. Due righe, a proposito di “Radio Radicale”: emittente che mi è cara per tutti i motivi che di solito s‘usa elencare: la trasmissione integrale di sedute parlamentari e processi, dibattiti e congressi, e l’occuparsi di tematiche e “luoghi” del mondo dimenticati o di cui poco o nulla si parla e “racconta”, sia la situazione delle carceri o la Cambogia, quello che accade davvero in Turchia o le guerre dimenticate, come faceva il povero Antonio Russo; c’è poi anche un motivo personale: è in quella radio che ho mosso i primi passi di giornalista dell’etere.
Circola in queste ore un appello promosso da Luca Barbarossa, Alessandro Gassmann, Jimmy Ghione, Alessandro Haber, Rocco Papaleo, e già sottoscritto da alcune decine di migliaia di persone.
“Salva Radio Radicale”, dice quell’appello. Un testo che mi permetto di riprendere integralmente: “Radio Radicale da 40 anni trasmette in diretta le sedute del Parlamento e segue le attività di tutte le istituzioni, dalla Corte Costituzionale al Consiglio Superiore della Magistratura, i più grandi processi giudiziari e le più importanti attività culturali e sociali. Negli ultimi 20 anni questo è stato possibile grazie a una convenzione con lo Stato italiano. Il Governo ha deciso che dal 21 maggio la convenzione non sarà rinnovata. Mancano pochi giorni per convincere il Governo a rivedere la sua decisione. Il diritto alla conoscenza è un diritto fondamentale affinché il cittadino possa farsi liberamente una opinione e non sia condizionato da una informazione distorta e di parte”.
Chiedo ancora una briciola di spazio. Ho sottomano un comunicato del Partito Radicale. Si pubblica di tutto e di più; questo per qualche ragione che un giorno mi piacerebbe conoscere, è stato completamente ignorato. Da qui conviene partire; racconta di un militante radicale che vive e opera in Basilicata; e ormai da una cinquantina di giorni si nutre con soli tre cappuccini zuccherati; chi naviga in internet può facilmente trovare bollettini medici e fotografie che lo ritraggono smagrito come mai è stato. Dovrebbe, potrebbe destare un minimo di curiosità che un cavallo matto in Basilicata si privi del necessario nutrimento da quasi due mesi. Niente. A Bolognetti da qualche giorno si sono uniti quattro dirigenti del Partito Radicale, tutte donne: Rita Bernardini, Paola Di Folco, Maria Antonietta Farina Coscioni, Irene Testa.
Perché lo fanno? Cosa chiedono? Ecco, forse sarebbe interessante saperlo, forse sarebbe doveroso chiederlo. Anche loro, anticipo, per “Radio Radicale”. Si de/nutriscono nella speranza (trascrivo dal comunicato) “che il governo intervenga in tempo utile per consentire al servizio pubblico svolto da 43 anni da Radio Radicale di poter proseguire…Constatiamo che gli oltre 40 giorni di sciopero della fame di Bolognetti per la vita di Radio Radicale e il diritto umano alla conoscenza non sono bastati ai rappresentanti del governo per corrispondere in qualche modo a questa rigorosa ed esemplare richiesta di dialogo, nemmeno nella forma dell’incontro con il direttore Alessio Falconio e dell’amministratore Paolo Chiarelli, che da tempo hanno richiesto di essere ricevuti dal ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, interlocutore diretto della vicenda di Radio Radicale”.
Già. Perché oltre alla “notizia” di questo sciopero della fame, ce n’è un’altra: il Comitato di Redazione dell’emittente ha chiesto da tempo un incontro urgente al ministro del Lavoro Luigi Di Maio. Molto preso da impegni ministeriali, di leader del Movimento pentastellare, ha trovato il tempo per una quantità di compiacenti, compiaciute fotografie e selfie; ma neppure un momento per un cenno di riscontro. Un silenzio, una gelida indifferenza che dicono molto.
A questo punto, mi faccio – e rivolgo – una serie di domande. Da più parti si riconosce il valore e l’importanza della “Radio Radicale”, la qualità dei servizi forniti, la loro puntualità e “ricchezza” come patrimonio di conoscenza. Se è così, non è giunto il momento di difenderlo, questo “tesoro”, che è di tutti, e a disposizione di chiunque lo voglia utilizzare?
Credo che occorra un salto di qualità; non è più tempo di generica e “facile” solidarietà. O il destino e il futuro di “Radio Radicale” ci lascia, nei fatti e nel concreto, indifferente; e allora lo si dica chiaro e forte, senza alimentare illusioni. Oppure se così non è, si faccia qualcosa di concreto. Per esempio: i Comitati di Redazione, gli organismi dirigenziali e sindacali dei giornalisti, perché non buttano giù una nota anche di poche righe, dove prendono posizione? Questo lo si può chiedere, no? Si può azzardare un ulteriore suggerimento? Una giornata – a staffetta – di digiuno, assieme alla “pattuglia” radicale che già è scesa in campo. I direttori di giornale e gli opinionisti (non pochi) che in questi giorni hanno manifestato solidarietà e vicinanza alla “Radio Radicale” nel corso delle numerose interviste che hanno rilasciato all’emittente, perché non raccontano, nei loro giornali, nei loro commenti ed editoriali come e perché questa radio è importante, necessaria, e rischia di dover interrompere le sue trasmissioni? Non si chiede nulla di rivoluzionario: “solo” di dare corpo al liberale enunciato di Luigi Einaudi: “Conoscere per deliberare”. Consentano ai lettori, ai cittadini, di sapere, e poter giudicare.
Credo che se si vuole, si possa fare. Se si può, si deve farlo.