A soli nove anni, improvvisava con Bob Mintzer. A tredici, Wynton Marsalis lo scopre e lo vuole con sé nel suo tour europeo. Nel 2009 è nominato da Umbria Jazz «Ambasciatore della musica jazz italiana nel mondo» e giovedì 11 aprile alle 22 Francesco Cafiso, il giovane sassofonista dalla carriera stellare che l’ha portato a esibirsi nel 2009 a Washington D.C. durante i festeggiamenti in onore del presidente Barack Obama e al Martin Luther King Day, salirà sul palco del nuovo spazio per la musica jazz torinese all’interno del Milk (ex La Gare) di via Sacchi 65 e dove Alberto Gurrisi e Marco Piccirillo curano la programmazione jazzistica. L’artista sarà accompagnato dalla ritmica «di casa Milk», i Two Late con Alberto Gurrisi all’organo e Laura Klain alla batteria.
Cafiso può essere tranquillamente considerato uno tra i talenti più precoci nella storia del jazz. Sin da quando era bambino si esibisce con musicisti di fama internazionale in festival musicali, teatri e nei jazz club più importanti del mondo. Ha vinto diversi premi tra i quali il Premio Nazionale Massimo Urbani, il Premio EuroJazz, l’International Jazz Festivals Organization Award a New York, la World Saxophone Competition a Londra, il Django d’Or a Roma, e molti altri.
Un musicista prodigio, dunque, ma anche un bambino precoce: all’età di quindici anni vive una delle sue prime esperienze musicali a New Orleans (la città «della musica» nella Louisiana a ridosso del fiume Mississippi) che sceglie per condividere con i musicisti del luogo «esperienze importanti e respirare l’essenza del jazz, del blues , del soul», un luogo, che lui stesso ricorda in una bella intervista rilasciata al Padova jazz festival, «ricco di energie positive ma talvolta anche “spettrale”». In quella «Capitale» della musica Cafiso suona ovunque, «dai balconi dei palazzi sino alle marching band».
Cafiso è siciliano e con orgoglio rivendica le sue origini, spesso ricorda il suo «Vittoria Jazz festival» per il quale cura la direzione artistica; Vittoria è infatti la sua città natale. Possiede anche un’etichetta discografica indipendente tutta sua: la E Flat che prende il nome dal suo strumento traspositore in Mi bemolle, sax che nelle mani di un bravo strumentista diventa duttile, per la sua agilità, come un flauto traverso.
Oggi Cafiso è adulto, e «adulta» è anche la sua musica pur avendo preservato sapientemente la vivacità e la curiosità iniziale; l’artista suona in diverse formazioni e propone progetti sempre nuovi e autorali. Tra i tanti, ricordiamo quello con il Francesco Cafiso 9et: «We play for tips», recente, del 2018, una sorta di estensione del precedente disco «20 cents per note» registrato in quartetto nel 2015.
«Il titolo – dice Cafiso – fa riferimento alla scritta che i musicisti di strada di New Orleans portavano sui loro cappelli per chiedere la mancia»: un ricordo indelebile dell’esperienza nella patria del jazz. Il musicista italo-americano nasce come contraltista e entra a far parte di un’orchestra sin da ragazzino, nella quale «era importante essere un polistrumentista – ricorda ancora –; molte delle parti contenute nello spartito erano scritte per sassofono contralto, altre per flauto traverso, strumento che mio padre possedeva in casa. Diplomarmi al Conservatorio in musica classica e in flauto, dunque, fu un fatto quasi naturale. Tuttavia – precisa ancora – il mio strumento è sempre stato il sax alto, mi ha rapito immediatamente per il suo suono; uno strumento che ritengo essere il prolungamento del mio corpo».
Cafiso si presenterà a un pubblico competente, quello del Milk, che arriverà con tanta curiosità e fors’anche alcune pretese. «Vivo quest’aspetto della mia vita con naturalezza. Sono consapevole che possano esserci “aspettative” da parte del pubblico, perché mi si presenta sempre in modo esplosivo. Io cerco di fare la mia musica e di esprimerla al massimo delle potenzialità con serietà. La musica – prosegue Cafiso – è una grande avventura che affronto con creatività, cercando di promuovere sempre nuove idee da condividere con tanti colleghi musicisti e che ho la fortuna di incontrare in giro per il mondo».
Non è possibile sdoppiarsi ma credo che moti amanti del jazz giovedì sera lo farebbero volentieri per ascoltare un atro grande musicista.
Già, perché la stessa sera e questa volta nello storico locale Folk Club (in via Ettore Perrone 3 bis) si esibirà un altro guru della musica mondiale, meno popolare forse, ma famoso per chi ama il Jazz e l’etichetta Ecm, davvero imperdibile: Egberto Gismonti, polistrumentista, chitarrista e pianista sublime, di madre siciliana e padre libanese nato in Brasile a Carmo. Figura di primo piano della musica mondiale degli ultimi 50 anni; recentemente è stato celebrato in patria con grandi festeggiamenti per il suo 70° compleanno e giovedì sera alle 21,30 torna al Folk Club dopo 19 anni dal suo unico precedente concerto e proprio su quel palco,per un imperdibile concerto. Anche lui, un bambino prodigio. Inizia a suonare il pianoforte all’età di sei anni. Dopo aver studiato musica classica per quindici anni si trasferisce a Parigi per studiare orchestrazione e analisi con Nadia Boulanger, composizione con Jean Barraqué, allievo di Schoenberg e Webern. Tornato in Brasile, trascorre un lungo periodo presso gli indios Xingù, dai quali apprende l’utilizzo del loro flauto. In seguito Gismonti intravvede, di fronte a sé, una realtà ben ampia del mondo musicale rispetto a quello rappresentato dalla sola musica classica, l’unico che aveva conosciuto. Gismonti ingloba, se così si può dire, nel suo stile, le diverse influenze musicali che vanno dal jazz alla bossa nova, dal rock alla musica classica brasiliana del compositore Heitor Villa-Lobos. Si dedica allo studio della chitarra cominciando con il classico strumento a sei corde passando nel 1973 alla otto corde, poi alla dieci corde. La sua originale e particolare vena creativa non sfugge all’attenzione dell’etichetta tedesca Ecm di Manfred Eicher, per la quale inizia a incidere nel 1977: è l’inizio di una nuova carriera che l’ha portato a diventare uno dei musicisti di primo piano della musica del nostro tempo.
Diciannove anni fa, Gismonti seppe entusiasmare il pubblico passando da un brano all’altro e con estrema naturalezza da uno strumento all’altro: chitarra e pianoforte. I pianisti sostengono che si esprima al massimo quando suona il pianoforte e i chitarristi, ovviamente, quando pizzica e perquote la chitarra. Ma sono tutti concordi, esperti e i meno esperti, sul fatto che che lui sia, in sostanza, musica. Insomma, Gismonti, proprio come accadde quattro lustri fa, sarà sicuramente in grado di accontentare tutti, anche i «palati» più fini.