È il 1974 e in Africa si sta consumando una “situazione catastrofica”, come la descrivono i pastori dell’Hoggar, una regione dell’Algeria. A mancare è l’acqua e quindi la possibilità di coltivare frutta e verdura e allevare bestiame. Fu definita “la più grave siccità del Continente nero”. Parole messe nero su bianco nel secolo scorso, ma che risuonano attuali oggi più che mai quando l’argomento trattato è la siccità nella regione del Sahel, una fascia di territorio che confina al nord con il Sahara, al sud con la savana del Sudan, a ovest con l’Atlantico e a est con il Mar Rosso.
I pastori nomadi della Mauritania conoscono da sempre il fenomeno della siccità e da sempre riescono a gestirne le conseguenze. Il loro ruolo è importantissimo per l’economia locale: i pastori, infatti, riescono a contribuire a circa il 13% del PIL del loro Paese.
Ma da qualche anno le cose stanno cambiando: “In passato c’era un periodo di siccità ogni dieci anni, ora accade ogni due anni. Quest’anno l’erba non ha neanche cominciato a crescere”, racconta Hamada Guermesh, il quale sottolinea quanto il rapporto tra le bestie allevate e gli allevatori stessi sia importante. “La nostra sopravvivenza dipende dagli animali: se loro sono in pericolo lo siamo anche noi”. Fino a circa gli anni ’70 del secolo scorso, infatti, la pioggia nella regione era abbondante per circa 4 mesi all’anno, da maggio a novembre. Successivamente però la temperatura della superficie del mare ha iniziato ad aumentare, portando così alla diminuzione della stagione umida. Basti pensare che la carestia a cui si fa riferimento all’inizio di questo articolo ha portato a 100.000 morti ed è durata dal 1968 al 1974.
La situazione del “bordo del deserto”, infatti, sta frettolosamente peggiorando: secondo il segretario generale di Cadev/Caritas Niger Raymond Yoro, nel 2018 sarebbero state 2,3 milioni le persone in difficoltà nella Regione, circa 400.000 unità in più rispetto all’anno precedente. Solo in Mauritania, per esempio, si parla di 190.000 persone che soffrono a causa dell’insicurezza alimentare e 802.000 che si ritrovano a rischio.
Secondo i dati raccolti a luglio dello scorso anno, invece, il Ciad si troverebbe nella situazione più difficile. In questo Paese, infatti, la crisi non solo è molto acuta, ma anche cronica con la tendenza a ripresentarsi sempre in maniera più forte, al punto tale che lo Stato africano si ritrova ad avere il sesto tasso di mortalità infantilepiù elevato al mondo: un bambino su sette muore prima del compimento dei 5 anni. Solo tre anni fa, il lago Ciad era nel momento più difficile del suo prosciugamento: nel giro di 50 anni, la superficie della fonte d’acqua si è ridotta del 90%. Nel 2011, era il Niger il paese della regione più a rischio: erano circa 330.600 i bambini fino ai cinque anni a rischio di malnutrizione.
lla base di questa forte siccità si trova, senza alcuna sorpresa, il cambiamento climatico. Secondo uno studio svolto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Pierre Simon Laplace del CNRS, a Parigi, dell’Università di Liegi e dell’Università Complutense di Madrid esisterebbe infatti un legame diretto tra lo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia e la catastrofe ambientale che sta avendo… Continua su vociglobali