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Yemen, quarto anniversario dall’inizio del conflitto. Un inferno in terra dimenticato da tutti

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Se esistesse un inferno in terra ciò che più lo ricorda è lo Yemen. Il Paese è stato letteralmente devastato, in quattro anni di guerra, nel pressoché totale silenzio dei media mainstream che caratterizza anche questo quarto anniversario dell’inizio del conflitto tra ribelli sciiti e le forze governative.
La situazione è al limite dell’irreversibiità mentre continuano bombardamenti e scontri.
Combattimenti pesanti stanno causando vittime anche in queste ore, come denuncia Medici senza frontiere, nella città di Taiz. Almeno 49 feriti e due morti, anche se si teme che molte più persone siano bloccate tra le linee del fronte. Un ospedale pubblico è stato costretto a chiudere e un altro è stato pesantemente danneggiato.
Una famiglia ha guidato tre ore tra colpi di mortaio per portare nell’unica struttura sanitaria della zona un bambino di due anni ferito al volto da una scheggia dopo l’esplosione di una bomba vicino casa.
Ma in molti, conferma Msf, non riescono a raggiungere gli ospedali a causa degli scontri e dei posti di blocco. Alcuni neanche ci provano per paura di essere attaccati.
In Yemen, da tempo, l’accesso ai servizi e agli aiuti primari è gravemente limitato perché le parti coinvolte nelle operazioni militari continuano a distruggere le infrastrutture civili, compreso il sistema sanitario, mentre i loro sostenitori internazionali chiudono un occhio.
Creano veri e propri ostacoli alle
ong, tra cui restrizioni alle importazioni, ai visti e ai permessi di movimento, che impediscono l’equa distribuzione di assistenza umanitaria secondo i bisogni della popolazione. Nel frattempo, combattimenti e posti di blocco continuano a frammentare il paese, limitando la fornitura di aiuti per molte delle comunità che ne hanno più bisogno.
“La crisi in Yemen potrà essere risolta solo quando i governi donatori metteranno fine al loro coinvolgimento nel conflitto e quando porranno le parti in guerra di fronte alle loro responsabilità per la loro atroce condotta, che mette in pericolo la vita di milioni di persone” è il monito dell’organizazione Premio Nobel per la Pace.
Anche l’Italia ha consentito l’invio di munizioni e sistemi militari nel Paese, con le forniture alla coalizione a guida saudita provenienti dalla fabbrica arem Domusnovas, in Sardegna.
Il tutto disattendendo le risoluzioni del Parlamento europeo sull’embargo alla vendita di armi all’Arabia Saudita, responsabile di gravi violazioni del diritto umanitario internazionale, accertate da autorità competenti delle Nazioni Unite.
Sul campo è presente anche Oxfam, una delle organizzazioni non governative che si occupano del supporto alimentare.
Secondo l’ong, negli ultimi tre mesi la situazione si è ulteriormente aggravata. Dallo scorso dicembre nell’indifferenza generale, sono stati uccisi in media tre civili al giorno: una vittima ogni 8 ore.
La crisi umanitaria coinvolge oltre l’80% degli yemeniti.
Nonostante i colloqui di pace di
Stoccolma tra il Governo riconosciuto dalla comunità internazionale e il fronte della ribellione, durante i quali era stato concordato un cessate il fuoco nella città portuale di Hodeidah (sotto assedio da mesi), si continua a combattere.
Gli accordi avrebbero dovuto gettare le basi per una sospensione del conflitto. Ma nulla di tutto questo è accaduto.
Nelle 11 settimane che hanno seguito gli accordi, 231 civili sono stati uccisi da attacchi aerei, bombardamenti, cecchini o esplosioni di mine, e di questi un terzo si trovavano nel governatorato di
Hodeidah, nonostante nell’area fosse stato accordato appunto il cessate il fuoco.
Tra le vittime 56 erano bambini e 43 le donne.
Dal marzo 2015 quasi 6.500 minori hanno già perso la vita o sono rimasti feriti dai bombardamenti e in questo momento più di uno su dieci vive in zone in cui l’intensità della guerra è elevata, con conseguenze devastanti sulla propria vita e sul proprio futuro.
Altro fenomeno che accresce il numero dei morti tra i più piccoli è il loro coinvolgimento diretto nel conflitto.
Sarebbero almeno quattro i campi di addestramento per i bambini soldato in Yemen. Secondo quanto denunciano fonti governative yemenite, citate dall’emittente emiratina “Al Arbiya”, i ribelli sottraggono i minori con la forza alle famiglie, in particolare nelle zone di al Hodeida, Rima, Sana’a e Dhammar. Le strutture sarebbero dirette e supervisionate da istruttori iraniani e libanesi delle milizie Hezbollah.
Sotto l’aspetto sanitario la situazione è altrettanto grave.
A complicare il quadro di emergenza alimentare e denutrizione ormai consolidate da mesi, una devastante epidemia di colera.
Un’apocalisse umanitaria che ha stremato, e sta sterminando, il popolo yemenita che vede ridimensionare l’aiuto umanitaruo a causa delle limitazioni che ostacolano le organizzazioni che cercano di raggiungere alcune aree del paese per identificare e valutare i bisogni delle comunità.
Anche quando si riesce a portare assistenza alle persone, resta comunque ampiamente inadeguata.
Per far fronte alle esigenze reali della popolazione, i donatori, le agenzie delle Nazioni Unite e i loro partner che implementano attività nel paese devono rinforzare l’azione medico-umanitaria e aumentare in modo significativo la propria presenza per rispondere ai bisogni più cruciali.
Carenze sostanziali nel supporto all’assistenza sanitaria di base hanno esposto molte persone a ricorrenti epidemie di malattie prevenibili, come il morbillo, la difterite e il colera.
Anche il fallimento nella protezione dei civili e nell’assistenza ai feriti di guerra è allarmante. Gli operatori sul campo denunciano che sempre più aree residenziali e urbane siano state trasformate in campi di battaglia, dove proiettili vaganti, schegge da esplosioni, bombardamenti aerei e mine colpiscono un numero sproporzionato di bambini, donne e persone anziane. Chi riesce a raggiungere le strutture per cercare cure mediche spesso impiega ore di viaggio su strade estremamente insicure che attraversano le linee del fronte.
Msf, Oxfam e le altre ong impegnate nella crisi umanitaria continuano a chiedere ai governi coinvolti nell’operazione militare ad agire per rimuovere gli ostacoli che impediscono agli aiuti di raggiungere le persone a rischio.
Quella in corso in Yemen è una guerra feroce, peggiorata con l’intervento della coalizione internazionale che sta cercando di piegare la resistenza della ribellione sciita e ripristinare il governo di Abdel Rabbih Mansour Hadi.
Secondo le ultime stime Onu, dal marzo 2015 i morti sono almeno 15mila, tre milioni di yemeniti sono stati costretti a lasciare le proprie case, 18,8 milioni hanno bisogno di assistenza e di protezione umanitaria, oltre 7 milioni hanno difficoltà ad avere cibo e più di 8 milioni ad acqua pulita e servizi igienici.
Quasi 3,3 milioni, di cui 2,1 milioni di bambini, sono gravemente malnutriti.
In Yemen si muore per cause evitabili: nel 50% dei casi per malattie infettive, problemi nutrizionali, perinatali e materni, e nel 39% dei casi per malattie croniche, come quelle renali, diabete, e ipertensione per la mancanza di accesso alle terapie. E poi ci sono le bombe.
Ogni giorno in media 75 persone rimangono ferite o uccise.
Il conflitto sta avendo un peso e conseguenze sproporzionate sui civili.
Nell’indifferenza pressoché totale della comunità internazionale.


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