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Walter Veltroni torna in politica, ma con una commedia all’italiana

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Fare un film non è comunque un atto politico!? Anche quando il film non è (non esplicitamente almeno) un film politico…

Questa mattina, in un’affollata sala del Cinema Adriano di Roma, è stato presentato alla stampa il lungometraggio “C’è tempo”, prima opera “fictional” di Walter Veltroni, con Stefano Fresi co-protagonista assieme al giovane Giovanni Fuoco, prodotto dalla Palomar di Carlo degli Esposti e Nicola Serra e da Sky Italia (presente in sala anche Andrea Zappia, Chief Executive del Gruppo Sky per la Continental Europe), nelle sale a cura di Vision Distribution (la joint-venture, guidata da Nicola Maccanico, formata dal cartello costituito da Cattleya, Indiana, Lucisano Media Group, Palomar, Wildside-Fremantle)

Si tratta di un’opera assolutamente meritevole di attenzione, che – come ci ha rivelato lo stesso regista –  intende emulare la migliore commedia all’italiana, con un substrato colto ma con un linguaggio semplice, come usavano fare gli Scola (cui nel film viene tributato un esplicito omaggio), gli Age & Scarpelli.

Ho voluto semplicemente fare un piccolo film”, ha dichiarato l’autore.

Si tratta di uno strano “road movie”, dai tratti talvolta un po’ fiabeschi, tutto incentrato sulla paternità e la giovinezza (sullo sfondo… l’amore, “ça va sans dire”).

Da alcuni anni, il Veltroni cineasta si è appassionato alla tematica del benessere interiore, ovvero della felicità e della fanciullezza: dopo l’esordio documentaristico con “Quando c’era Berlinguer” (2014), ha infatti realizzato – tra l’altro – il documentario “Indizi di felicità” e la serie televisiva “Scuola di felicità”, entrambi nel 2016, e l’anno prima aveva ideato e diretto “I bambini sanno” anch’esso documentario poi divenuto serie tv…

Abbiamo domandato a Veltroni qual è la motivazione “anche psicoanalitica” di questa sua passione intellettuale e spirituale, e ci ha scherzosamente risposto che “in assenza di un lettino, era difficile avviare una terapia…”. Al di là delle battute, ha sostenuto che la fanciullezza è, a parer suo, un tratto positivo determinante la dimensione umana, e che debba essere preservato, mantenuto e promosso in ogni fase della vita. D’altronde “questo essere un po’ bambino ha caratterizzato tutta la mia vita”, ha concluso.

C’è tempo” (titolo ispirato mutuato da quella che lui ritiene essere una delle migliori canzoni di Ivano Fossati) è un film intimista, ironico, solare.

Girato prevalentemente in esterni (fotografia, morbida e calda, di Davide Manca), tra la Val D’Orcia ovvero San Casciano, Rimini e Parma, Roma, con appendice parigina, racconta l’incontro/scontro tra due personalità completamente diverse: un adulto sognatore e un ragazzino iper-razionale, che si ritrovano a scoprire improvvisamente di essere fratellastri.

Si ode l’eco di dialoghi e atmosfere un po’ morettiane, e non a caso la sceneggiatura è co-firmata da Doriana Leondef.

Colonna sonora molto ben curata, con contributi plurimi, da Lo Stato Sociale a Danilo Rea.

Il protagonista del film, Stefano, è un quarantenne povero, precario ed irrisolto, che di lavoro fa l’osservatore di arcobaleni. Lui, che del padre (“l’inseminatore”) non ha mai voluto sapere neanche il nome, deve lasciare il paesino del Piemonte in cui vive per correre a Roma: infatti improvvisamente si è ritrovato “orfano”, e con un “fratellastro” tredicenne di cui non conosceva l’esistenza, Giovanni, rimasto solo al mondo (ma vissuto nell’ovattata dimensione dei ricchi). Accettandone la tutela proposta dal giudice, Stefano potrà beneficiare di un lascito a suo favore (centomila euro). Lui è dubbioso, ma sua moglie (nell’economia di un rapporto in crisi) ha un piano: prendere i soldi e lasciare il ragazzino in un collegio… Inizia così un viaggio attraverso un’Italia dimenticata dalle autostrade che, grazie all’incontro con la cantante Simona in tour con sua figlia, farà capire ad entrambi che essere fratelli può essere una scoperta sorprendente… come un meraviglioso arcobaleno a due volte sovrapposte.

Non abbiamo a che fare con un capolavoro, ma il film presenta complessivamente una buona fattura, e potrebbe essere considerato un esempio quel “prodotto medio” di cui il cinema italiano ha grande necessità, e rispetto al quale si percepiscono segnali di rigenerazione in corso (saranno i primi effetti della legge di riforma del cinema tanto voluta dall’ex Ministro per i Beni e le Attività Culturali Dario Franceschini?!).

In alcuni momenti, comunque, si tocca la poesia, anche se una qualche lungaggine andava evitata, e ci sono scene poco utili, come la discussione tra l’osservatore di arcobaleni ed un presidente di una banca.

Sarà poco “polically correct”… ma va segnalato che sicuramente la notorietà del regista ha contribuito alle chance di realizzazione dell’opera: un amico sceneggiatore ci ha domandato, provocatoriamente: “ma una storia simile, con un cast simile, avrebbe avuto possibilità di essere prodotta e così bene sostenuta, se il regista non fosse stato Veltroni?!”. Domanda retorica, ma in fondo non tanto, in un Paese nel quale il “capitale relazionale” prevale su tutto, e nel quale il mercato cinematografico-audiovisivo non brilla esattamente per le possibilità concesse agli esordienti ed agli “outsider”.

Una parte delle domande dei giornalisti ha cercato di riportare Veltroni nel suo agone naturale e storico, ovvero la politica. Ricordiamo che Veltroni, classe 1955, si è dimesso da Segretario del Pd nel 2009, anche a seguito della pesante sconfitta del Pd nelle elezioni regionali in Sardegna. Da un decennio, si dedica ad altro, ovvero fa politica in modo altro.

Ha riposto a chiare lettere: “io non ho mai smesso di fare politico, intesa come attività civile, quindi non debbo rientrare in politica… perché non ne sono mai uscito”.

In modo elegante, ha fatto riferimento all’incattivimento che sta caratterizzando l’attuale fase storica della società italiana, ed ha sostenuto che raccontare la bontà, l’umanità, il riconoscimento dell’altro è in questo momento “forse l’atto più rivoluzionario”. Veltroni ha precisato che “i buoni sentimenti rappresentano un qualcosa di rivoluzionario, in un momento come questo, in cui prevale la negazione, il non rispetto dell’altro, l’arroganza e la violenza”.

Retorica a parte, ha rimarcato con convinzione la bellezza dell’affluenza alle primarie di domenica del Partito Democratico, così come della manifestazione antirazzista di sabato a Milano, che ritiene esempi di buone pratiche: “viviamo in un tempo oscuro, abbiamo bisogno di luce… Sono contento per Nicola Zingaretti, ma mi fa piacere in generale per il partito. Sono ossessionato dal buio e dalla paura, citando Roosevelt, dalla perdita di speranza”.

Lo spettatore con una cultura cinematografica media percepirà una minima parte delle numerose ed impressionanti citazioni (alte e basse, e per lo più “pop”) nascoste tra i frame del film “C’e tempo”, soprattutto cinematografiche (ma anche letterarie), da François Truffaut a Bernardo Bertolucci: con simpatico orgoglio da cinefilo, Veltroni ha raccontato che si è divertito a contarle e sono oltre… cinquanta! L’omaggio a Truffaut è impersonato anche da un cameo di Jean-Pierre Léaud, che viene ri-citato più volte nel film, a partire dal classico “I quattrocenti colpi” (nel quale Léaud era attore bambino).

Come abbiamo segnalato, il protagonista del film di mestiere fa l’“osservatore di arcobaleni”, ed il regista ha dichiarato di non aver verificato se una simile professione esista in realtà (“avevo pensato di contattare il Cnr…”), ma ha sostenuto che pure qualcuno un simile lavoro dovrebbe pur farlo.

L’incontro tra l’adulto sognatore e il ragazzino pragmatico si accompagna presto ad un duplice dimensione sentimentale, perché l’adolescente scopre l’amore (il primo bacio) e l’adulto lo riscopre (anche se non corrisposto).

Divertente osservare che la “citazione” nel film del gelato “Arcobaleno” della Algida ha convinto la società (il marchio appartiene al gruppo Unilever) a far rientrare in produzione quel gelato in quattro gusti, che sarà ri-commercializzato da inizio aprile: il regista ha voluto precisare che si è trattato di una decisione maturata “ex-post”, e quindi… evidentemente Algida non ha approfittato del “tax credit” cinematografico, ma è stata messa in atto di una curiosa sponsorizzazione culturale.

Il film è distribuito in ben 250 copie (è in uscita giovedì prossimo 7 marzo) e i coproduttori PalomarSkyPathé (quest’ultima guidata da Jérôme Seydoux) confidano in un discreto successo.

Temiamo che l’assenza di una “star” renda ardua la chance di un “box office” significativo: il brillante Stefano Fresi (che recita perfettamente… sé stesso) e la fascinosa Simona Molinari (finora nota come elegante cantautrice più jazz che pop) riteniamo non siano purtroppo nomi sufficientemente “appealing” in un mercato sempre più chiuso e crudele.

Peraltro, in questi giorni si assiste a una “overdose” di commedie italiane, nella assurda e masochista dinamica della concentrazione di titoli verso la primavera, sul disastrato mercato cinematografico italiano.

Il film di Veltroni dovrà vedersela con “10 giorni senza mamma” di Alessandro Genovesi (che nel weekend ha incassato 551mila euro e totalizza un box office di 6,6 milioni al quarto fine settimana; distribuito da Medusa), e con gli appena usciti in sala “Domani è un altro giorno” di Simone Spada (706mila euro nel weekend, distribuito da Medusa), e con “Croce e delizia” di Simone Godano (531mila euro, distribuito da Warner).

En passant, si segnala che i dati del “box office” italiano sono preoccupanti: secondo le stime Cinetel, assai pesante il bilancio del mese febbraio. Si sono incassati 50,1 milioni di euro, che corrispondono a – 24 % rispetto al 2018 (- 16,5 % sul 2017); i biglietti venduti sono 7,9 milioni, – 21,4 % sul 2018, – 21,7 % sul 2017. Considerando i primi due mesi dell’anno, emergono dati sempre pessimi: dal 1° gennaio al 3 marzo 2019, si sono incassati 134,6 milioni, ovvero – 10,5 % rispetto al 2018, – 12,0 % sul 2017; i biglietti venduti sono 20,7 milioni, -10,2 % sul 2018, -17,8 % sul 2017.

Il neo Direttore del Cinema del Mibac, Mario Turetta, che si insedia in questi giorni a Santa Croce in Gerusalemme (vedi “Key4biz” dell’8 febbraio 2019, “Mario Turetta nuovo Direttore Generale Cinema del Mibac”), ha un bel “dossier” da affrontare…

Abbiamo chiesto a Veltroni se sta già pensando al… prossimo film, e ci ha risposto: “vediamo prima come va questo!”.

Indipendentemente dalla valutazione critica-estetologica del film, va dato atto a Walter Veltroni di proporre – sia come regista sia come artista – un’immagine di sé pacata, moderata e colta, in assoluta controtendenza rispetto alla politica urlata e rabbiosa che caratterizza l’Italia del governo gialloverde. Si può essere suoi estimatori o meno, ma questa pacatezza appare veramente “rara avis”, un’azione (politica) controcorrente nel mercato degenerato della politica italiana.

Clicca qui, per vedere (su YouTube) il trailer di “C’è tempo”, film di Walter Veltroni, nelle sale cinematografiche da giovedì 7 marzo 2019.
Clicca qui, per vedere (su RaiPlay) l’intervista di Fabio Fazio a Walter Veltroni, a “Che tempo fa”, domenica 3 marzo 2019 su Rai1.

* Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult


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