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Teatro Quirino. Massimo Ranieri ne “Il gabbiano” di Cechov canta le più belle canzoni francesi

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Affascinanti, ne “Il gabbiano” di Cechov in scena in questi giorni al Quirino, gli intermezzi musicali di Massimo Ranieri – ad esempio la notissima “Je suis malade” di Serge Lama, “Hier encore” di Charles Aznavour, “Et maintenant” di Gilbert Bécaud – repertorio anagraficamente vicino a noi, ma senza età e attinente all’ambiente, perché sappiamo come, dopo le riforme avviate da Pietro il Grande, il francese fu per lungo tempo una lingua vezzeggiata dai nobili e dagli intellettuali russi. Giancarlo Sepe, il regista, spiega questa scelta nelle note di regia: “Alla prima uscita de IL GABBIANO l’insuccesso fu pieno (…)Cechov voleva capire il perché dell’insuccesso de IL GABBIANO e chiama l’unica persona affidabile, un critico musicale di origine francese che non aveva di che essere geloso e rivendicativo, un uomo dalla cultura imperante nella Russia del secolo, la cultura francese, un uomo che conosceva l’eterna armonia dei sentimenti, anche di quelli apparentemente contrastanti, Marcel, questo il suo nome, legge davanti a Cechov il suo testo e alla fine si sprigiona in un’esegesi, un’analisi spregiudicata del testo e la messinscena parte come una emanazione spontanea dalle sue parole che diventano battute del testo e frasi di canzoni meravigliose di cui lui solo ne possiede il segreto interpretativo. Musica e Cechov un connubio che sa di favola e di miracolo, la commedia arriva a toccare il suo cuore come quando l’aveva scritta”.

Una rappresentazione innovativa e singolare distingue questo “Gabbiano” di Cechov. Rivoluzionato nella prospettiva e nella cronologia, la piéce mantiene fedeltà interiore ai personaggi e ne approfondisce il simbolismo: l’inseguimento dell’amore non ricambiato; l’arte che nutre le speranze dei protagonisti; lo svolgersi meta-teatrale della vita. Gli attori compaiono in palcoscenico in una scenografia che rileva per iscritto il nome di ciascun personaggio e il regista Giancarlo Sepe si fa levatrice della loro anima universale. La storia cecoviana succintamente racconta di Irina Arkadina, celebre attrice, che convive con Boris Trigorin scrittore mediocre che ha successo. Kostja il figlio di Arkadina aspirante drammaturgo, non si sente amato dalla madre e disprezza il suo teatro routinier. Nel giardino di casa, Kostja mette in scena una sua piéce interpretata da Nina, ragazza di cui è innamorato. Sua madre critica lo spettacolo e il figlio allora lo interrompe. Tutti i protagonisti ruotano attorno al tema sacro dell’arte, alcuni legati a vecchi schemi, altri vivono le proprie pulsioni per arrivare alla personale identità espressiva. Il gabbiano è dunque allegoria della libertà artistica, minacciata come il volatile dal cacciatore che usa il fucile. In qualche modo lo spettacolo, che una scenografia sapiente e una musica molto bella esaltano, incarna l’insoddisfazione universale di chi sente che, nella propria esistenza, non riesce a ottenere mete rassicuranti.

 

Il gabbiano (à ma mère)

Fino al 31 marzo

Teatro Diana / Rama 2000
MASSIMO RANIERI
IL GABBIANO (à ma mère)
da Anton Čechov
conCATERINA VERTOVA
adattamento e regia GIANCARLO SEPE

con PINO TUFILLARO   FEDERICA STEFANELLI
Martina Grilli   Francesco Jacopo Provenzano

musiche Harmonia Team
disegno luci Maurizio Fabretti
Scene e Costumi Uberto Bertacca

Lo spettacolo ha una durata di 2 ore compreso intervallo


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