La Prima Guerra Mondiale è appena finita: in Germania si contano i morti, si tenta di dimenticare e si cercano in nuovi ideali speranze per il futuro. Nel drappo rosso che fa da quinta si apre una finestrella per incorniciare i discorsi appassionati di Rosa Luxemburg, che incoraggia alla lotta e alla rivoluzione. Ma la famiglia di Anna sta coi piedi per terra: gli abietti genitori vogliono che la figlia dimentichi il fidanzato, mai rientrato dalla guerra, e sposi un ricco e intraprendente imprenditore che al fronte non ci è andato e sulla guerra ha anzi speculato. I toni sono calcati, sia i genitori che Murke, il nuovo fidanzato sfacciato e senza scrupoli, sono dipinti in chiave sarcastica e caricaturale, anche il trucco è volutamente marcato e non realistico.
Anna non è ancora del tutto rassegnata ad aver perso Andrea, di cui non si hanno notizie da quasi quattro anni, ma la sua disperazione per la mancanza dell’amato sfianca la sua volontà, il ricordo del suo amore è ormai affievolito e le pressioni dei familiari sono tali che alla fine cede all’insistenza di Murke e si ritrova così a festeggiare il fidanzamento al Piccadilly, un locale del centro, vicino a dove stanno per concretizzarsi i moti dello Spartachismo, animati da Rosa Luxemburg. Qui fa irruzione Andrea Klager, il reduce e vecchio fidanzato, infangato, sdrucito, provato dalla trincea e dalla prigionia in Africa, che vuole riprendersi Anna ma viene da lei rifiutato, dal momento che la ragazza è incinta. Nel locale due cameriere-prostitute danno voce alla saggezza e al disincanto del popolo, anche tramite canzoni. Il soldato, respinto, si unisce alla frangia dei rivoluzionari ma alla fine sceglie di non partecipare alla rivolta contro il capitalismo imperialista e torna da Anna, disposta a mandare all’aria il matrimonio, per tornare insieme e costruire un’esistenza nuova, nell’illusione della pace. Una pace effimera, come aveva preconizzato Rosa Luxemburg, che d’altra parte non vivrà abbastanza a lungo per vedere quanto avesse ragione, dal momento che l’esercito soffocherà nel sangue la rivolta.
Si tratta di un’opera rappresentata per la prima volta nel 1922, il primo tra i testi di Brecht ad essere portato sul palcoscenico, e il secondo dei suoi drammi. L’autore stesso l’ha definita insieme una tragedia e una commedia, perché nonostante il tema del ritorno di un reduce dimenticato e tradito che si ritrova depredato del suo ruolo sociale e del suo amore, in fondo si finisce per prendere in giro l’attaccamento ai soldi di una classe borghese annoiata, complice dell’intorpidimento morale, e la debolezza di Anna, sottomessa al volere dei suoi e quasi venduta da loro; anche se il giovane soldato rientrato dal fronte sceglie la vita privata e rinuncia all’azione politica, il suo è in fondo un modo per opporsi ai valori borghesi accettando quell’amata che lo ha tradito e si è disonorata, sfidando il perbenismo del pensiero unico e cercando una libertà almeno sul piano privato, prima ancora che agire per una rivoluzione sociale. Benché considerato un testo ambiguo dal punto di vista politico, perché la simpatia dell’autore va alla scelta vitale da innamorato del giovane soldato e apparentemente meno all’idealismo suicida dei rivoluzionari, la cui lotta finirà per fallire ed essere repressa violentamente, anche in quest’opera il teatro vuole stimolare una riflessione e invitare lo spettatore a ritrovare la sua dignità morale. Lo scetticismo nei confronti delle ideologie, esplicitato in scena dalla splendida chanteuse a schiena nuda di un locale notturno nel quartiere dei giornalisti, è amaro ma in fondo profondamente contemporaneo ed enfatizzato per lo spettatore di oggi dalla regia di Frongia: in un’intervista rivela che “se c’è una cosa che può cambiare il mondo, questa è sicuramente la bellezza, e probabilmente non la lotta armata”, specie se a dover scegliere è un reduce che ha vissuto in prima persona i drammi della guerra. Se la società sembra scegliere sempre una risposta di morte e di ignorante chiusura, invece che coltivare la vita e le sue umanissime contraddizioni, il teatro può almeno proporre la cultura della riflessione, al di là degli stereotipi, come vera via per una rivoluzione personale.
Lo spettacolo mette in scena 11 attori, giovani ed entusiasti, dalla recitazione talvolta volutamente grottesca, come nel caso dell’odioso Murke (Alessandro Savorese) o dei due genitori, sempre sopra le righe, di Anna (Denise Brambillasca e il talentuoso Eugenio Fea, che interpreta anche la cantante di cabaret). L’effetto è piacevole, come davanti a una rappresentazione che mostra candidamente di esserlo, anche nell’allestimento scenografico, fatto di drappi rossi che si aprono e si chiudono su una Berlino decadente, in cui pile di libri e giornali vengono mostrate quasi come macerie. D’altra parte per Brecht l’attore non deve scomparire nel personaggio interpretato: il pubblico deve invece sempre aver presente che non si tratta di vita vera ma di una lettura, di una rappresentazione, che infatti viene esplicitata come tale dalla presenza quasi didascalica di cartelli, dall’inserzione di canzoni stranianti e da una tecnica recitativa del tutto alternativa al celebre “metodo Stanislavskij”, in modo da preservare la distanza critica tra personaggio e spettatore che, nel teatro epico di Brecht, è chiamato più a giudicare ciò che viene messo in scena che a empatizzare con esso.
Questo testo giovanile è interpretato in modo fresco e vigoroso appunto da giovani attori, diplomati la scorsa stagione all’Accademia dei Filodrammatici, un’istituzione a Milano, nata alla fine del Settecento come “scuola di declamazione” e i cui soci onorari furono, tra gli altri, Vincenzo Monti, Alessandro Manzoni, Vittorio Emanuele II, Giuseppe Garibaldi, Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio.
Fino al 10 Marzo 2019 al Teatro Elfo Puccini di Milano
TAMBURI NELLA NOTTE di Bertolt Brecht
versione scenica di Emanuele Aldrovandi
regia Francesco Frongia
con Luigi Aquilino, Edoardo Barbone, Denise Brambillasca, Gaia Carmagnani, Eugenio Fea, Ilaria Longo, Simone Previdi, Alessandro Savarese, Valentina Sichetti, Irene Urciuoli, Daniele Vagnozzi
assistenti alla regia Giacomo Ferraù, Gianpiero Pitinzano
coproduzione Teatro Filodrammatici di Milano / Teatro dell’Elfo