A è un ragazzo disabile grave. Frequenta la terza media in una scuola della periferia romana ed è seguito da un insegnante di sostegno e da un assistente educativo culturale (AEC), che lavorano quotidianamente per aiutarlo a relazionarsi con l’ambiente e lo assistono in tutti quei movimenti e quelle azioni che per noi “normali” sono scontati e abituali. Quest’anno, la famiglia di A ha ricevuto, come tutte le famiglie, la richiesta di autorizzare il figlio a partecipare alla gita organizzata dalla scuola, che durerà quattro giorni ed è prevista per l’ultima settimana di marzo.
Non è stata una decisione facile, per la famiglia di A. Come per molti coetanei, si tratterebbe della prima volta fuori casa e senza i genitori e chiunque sia padre o madre sa quanta ansia provochi questa novità, come chiunque sia stato ragazzo sa quanta importanza rivesta e quanto a lungo verrà ricordata. Noi non sappiamo come A stia vivendo questa esperienza, perché lui non parla, non comunica, non esprime le sue sensazioni in forma compiuta. Sappiamo, però, che la famiglia, dopo molte esitazioni, ha deciso che per A quella rottura della routine, quel senso di novità e di libertà che tutti abbiamo provato quella prima volta “fuori casa” non avrebbero potuto che essere di giovamento e hanno concesso l’autorizzazione. Naturalmente, A ha assolutamente bisogno di qualcuno che gli stia sempre vicino, ma la presenza degli insegnanti e dell’assistente educativo costituiscono un forte elemento di rassicurazione.
Tutto sembra andare per il verso giusto quando, improvvisamente, sorge un intoppo: il Municipio si rifiuta di versare alla cooperativa da cui dipende l’assistente educativo il denaro per pagargli le ore di lavoro che dovrà effettuare durante la gita, nonostante questa eventualità sia esplicitamente prevista nei contratti fra i Municipi e le cooperative convenzionate per il servizio di integrazione scolastica degli alunni disabili (si chiama così ed è di pertinenza dei Comuni). La cooperativa, a quel punto, propone all’AEC di recuperare le ore che non gli verranno pagate per la gita con altrettante ore di riposo retribuito nei giorni successivi, ma non si tratta di una soluzione praticabile, perché significherebbe che, per diversi giorni, A resterebbe senza assistenza a scuola e questo, per le condizioni in cui si trova, è semplicemente impossibile. Dunque, per A la possibilità di scelta è molto netta: o rinuncia alla gita con i compagni, o rinuncia a giorni di assistenza a scuola, cioè, concretamente, rinuncia a giorni di scuola, perché senza assistenza A non può stare.
Ma non c’è solo la taccagneria del Municipio a frapporsi fra A e i suoi giorni di novità e di libertà. Alcuni insegnanti che dovrebbero partire con la classe di A iniziano a mugugnare, perché – come al solito – le gite scolastiche sono retribuite come normali giornate di lavoro, senza alcun incentivo, sono faticose e cariche di responsabilità, e la presenza di un ragazzo “speciale” come A potrebbe aumentare sia la fatica che le responsabilità. Insomma, improvvisamente, A diventa un problema.
Il problema è serio, ma, quando vuole, la Pubblica Amministrazione sa essere molto efficiente. La Dirigente della scuola convoca gli insegnanti coinvolti nella gestione di A e, insieme, decidono che A non può partire e che bisogna convincere la famiglia a ritirare l’autorizzazione. Poiché la mamma di A non può muoversi per via di un malanno, viene prontamente organizzata una task force di insegnanti che, capitanata dalla stessa Dirigente, si recherà a casa di A per illustrare alla sua famiglia i grandi pericoli cui il ragazzo andrà incontro, qualora si permanesse nella sciagurata decisione di farlo partire. Verranno illustrati i pericoli del lungo viaggio in un pullman malandato, degli incidenti mortali causati da autisti stanchi o ubriachi, del muoversi in ambienti estranei e ostili (Trieste, città infestata da violenti nostalgici dell’Impero Austroungarico), del maltempo cui si potrebbe andare incontro: freddo, pioggia, anche abbondanti nevicate, probabilmente. Qualcuno pensa di evocare il rischio di valanghe, frane ed esondazioni. Insomma, di fronte ad un quadro a tinte così fosche, perdipiù dipinto da persone autorevoli e degne di fiducia, quale madre sarebbe tanto irresponsabile da consentire la partenza del figliolo?
Così, in un colpo solo, si risolvono i problemi degli insegnanti riottosi e del bilancio municipale e sono tutti felici e contenti. Tutti? Forse, A avrebbe preferito partire, vivere qualche giorno diverso dai soliti, guardare qualcosa che non siano i muri della sua scuola… ma che importa? Tanto, A non sa parlare.
Bruno Kowalski