La norma “Spazzacorrotti” equipara ai partiti politici gli enti che abbiano all’interno persone che hanno fatto politica. Stefano Zamagni: “Poca conoscenza della realtà, anche professori e magistrati possono fare politica e tornare a lavoro”. Operativamente? “Non è un problema di costi ma di reputazione e valore sociale”. Interrogazione al ministro Salvini
MILANO – “È una svista, verrà modificata”. Non ha dubbi l’economista e professore Stefano Zamagni. Per l’ex presidente dell’Agenzia per il terzo settore, la modifica alla legge del 2013 inserita nel cosiddetto “Spazzacorrotti” (legge 3/2019) che equipara ai partiti politici gli enti del terzo settore che abbiano all’interno persone che hanno fatto politica, sarà corretta. Una norma in materia di trasparenza che recita: “Sono equiparate ai partiti e movimenti politici le fondazioni, le associazioni e i comitati […] i cui organi direttivi siano composti in tutto o in parte da membri di organi di partiti o movimenti politici ovvero persone che siano o siano state, nei dieci anni precedenti, membri del Parlamento nazionale o europeo o di assemblee elettive regionali o locali ovvero che ricoprano o abbiano ricoperto, nei dieci anni precedenti, incarichi di governo al livello nazionale, regionale o locale ovvero incarichi istituzionali per esservi state elette o nominate[…]”. Per Stefano Zamagni “non si ha contezza della realtà del terzo settore, si confonde il lavoro politico concepito come membro del Parlamento o di assemblee elettive con il lavoro presso l’ente pubblico. Sono due cose diverse e non si può fare confusione”.
“È evidente – aggiunge l’ex presidente dell’Agenzia per il terzo settore – che estendere il divieto agli ultimi dieci anni è un modo per penalizzare il terzo settore. Significa sottrarre risorse umane di cui ha bisogno”. Del resto, “perché mai un professore universitario può scendere nella competizione elettorale e, una volta terminata la tornata o il mandato, tornare a fare il suo mestiere di prima? Perché lo stesso può fare un magistrato mentre questa norma stabilisce che chi ha fatto un’esperienza politica non può continuare in futuro a lavorare per il bene comune in una cooperativa sociale o in una fondazione?”. Secondo l’economista un ragionamento in questi termini “equivale a dire che la politica è talmente infettata da impedire che contagi altri soggetti, mentre “l’implicazione è che il mondo del terzo settore deve essere l’antipolitica”.
“Diverso sarebbe dire – prosegue Zamagni – che non si può svolgere lavoro politico e contemporaneamente essere dirigente di un ente del terzo settore, ma estenderlo al passato è privo di senso e dà un cattivo segnale alle persone, facendo passare il messaggio che la politica è un’attività sporca”. “Non è un problema di costi ma un problema di immagine e di quello che si chiama ‘capitale reputazionale’ – continua Zamagni -: il terzo settore non ha bisogno di grandi soldi, non è una banca o un industria, il problema è l’esigenza di riconoscimento sociale che vale molto più del denaro. Questo provvedimento non ha grandi conseguenze di natura pratico-pecuniaria, come molti pensano, ma è molto più grave”. Perché “di fronte a un problema economico si può sopperire con altri tipi di entrate, se invece viene tolta la visibilità e la riconoscibilità il terzo settore ne risente”. Per Zamagni però “si tratta di errori” come quello che a fine anno ha riguardato l’Ires per poi essere ritirato. “Errori che denunciano una non conoscenza della problematica e della realtà” perché “se ci fosse malafede gli strumenti sarebbero diversi”.
Interrogazione al ministro Salvini. Intanto un’interrogazione urgente è stata presentata al ministero dell’Interno ad opera del senatore democratico Andrea Ferrazzi, insieme a 31 colleghi del gruppo Pd a Palazzo Madama. L’interrogazione stigmatizza “la logica punitiva sottesa, che rende la misura del discredito che ha colpito il mondo della politica, ma poi colpisce realtà la cui finalità è non lucrativa e di utilità sociale”. Ferrazzi chiede al ministro Salvini “quali iniziative intenda adottare al fine di stabilire gli esatti obblighi di trasparenza di fondazioni, associazioni e comitati, chiarendo se questi includano anche l’elenco dei donatori”. Mecenati che, non di rado, vogliono rimanere anonimi. (Francesco Floris)