La “camera verde” personale, pluriennale, metodica (della nostra vita e scrittura) questa volta si tinge di grigio: di un grigio ben ‘intarsiato e sfumato’ che nulla offusca, anzi rende più limpido e intellegibile. Di un lutto che è anche personale e fuori ordinanza: in cui, chi fa questo mestiere, poche volte e per fortuna, si imbatte, prima che tocchi anche lui (a ciascuno) allontanarsi in dorso al Carro di Tespi, condiviso con una miriade di altri teatranti a vario titolo. Probabilmente diretti – piace immaginare- verso la surreal-materica Villa Scalogna ove Pirandello dava requie ai Giganti e a tutti gli “adepti” della Contessa Ilse.
Amareggia, quindi, “dar la precedenza”, per anagrafica scansione, ad un amico e maestro quale Pino Caruso, tenendo a debita distanza- o equilibrio instabile- i sentimenti del cordoglio, il distacco della scrittura, le trappole dell’ afflizione e della retorica di circostanza. Comunque rafforzate dalla profonda, composta percezione di lutto e perdita che il suo fine vita di over -ottantenne ancora vitale, e ben attivo in ambito creativo, arrecano in quanti di noi ebbero l’aventura di seguirne la lunga carriera. Tutta imperniata sull’assenza della “maschera” (nonostante la sorgiva natura di palermitano, fiero di esserlo, umorista e cabarettista di prim’ordine) e la degustazione conviviale di quella che Montanelli nientemeno, suo estimatore, coglieva e apprezzava “tra ammicchi felpati e improvvisi guizzi d’ intelligenza” distillanti “ il suo Io più vero, ossia quell’ulteriore virtù del teatrante che si raffina in “scrittore che si compiace di paradossi, veloci calembours, intrisi d’ irridente e aerea follia” (recensendo così il volumetto, “Un uomo comune” con cui l’attore aveva ‘esordito’ presso l’editore Marsilio, dopo la raccolta di poesie “Il silenzio dell’ultima notte”, pubblicato da Flaccovio nel 1969).
Melanconico, ma non uggioso, ironico e disincantato, mai cinico o sarcastico, Pino Caruso (da autodidatta affrancatosi dalla povertà del dopoguerra in Sicilia) aveva iniziato la sua carriera debuttando al Piccolo di Palermo (1958) in “Il gioco delle parti” di Pirandello, ‘scavalcando’ con briosità e innato talento l’iniziale reclutamento da direttore di scena. Nel 1962, progredendo, è già in compagnia della veneranda Emma Gramatica per una messinscena al Teatro Biondo dei “Sei personaggi in cerca d’autore”, passando poi fra il 1963-1965 allo Stabile di Catania dove- stimato da Turi Ferro e Mario Giusti- si “diletta” in una sfilza di ruoli comici e terragni, da “L’altalena” a “L’arte di Giufà”. Praticabili del medesimo teatro che, a inizio millennio, lo videro protagonista magnetico, mesmerico, volutamente ‘sussurrante e sottotono’ di uno dei migliori Ciampa e “Berretto a sonagli” che azzardo ad annoverare – e all’altezza, poniamo, di un Salvo Randone ancor più defilato e …‘uomo che non c’era’ (unico paragone coeniano che mi viene in mente).
E’ agli inizi del nuovo decennio che Pino Caruso “sente in bisogno” di mettersi in gioco e tentare (come tutti gli insulari di una certa generazione) l’avventura romana, iniziata all’insegna del Bagaglino, dove ha modo di farsi apprezzare per versatilità, abnegazione e innata generosità, balzando in cartellone quale autore e protagonista de “Terza parte della serata” (“contribuendo notevolmente alla grande fortuna del locale”- ammetteranno Castellano e Pipolo).
Dopo “Il venditore di echi” e “Pane al pane Pino al Pino” (nello spazio di via Due Macelli, ex Salone Margherita) la televisione degli anni ruggenti gli si dischiude con “Che domenica amici” e “Quelli della domenica” (in un cast di ospiti fissi comprendente Villaggio, Cochi e Renato, Ric e Gian), cui fanno seguito “Teatro 10” (1971) e le serate cult di “Dove sta Zazà” (1973) in compagnia della Gabriella Ferri in forma, estro e genialità “mai più riviste”.
Ingiustamente trascurata ma altrettanto intensa è la carriera di Pino Caruso nel cinema, dove egli debutta in “La più bella coppia del mondo” (1968) di Camillo Mastrocinque (blando ‘musicarello’ con Walter Chiari e Paola Quattrini), e l’anno successivo con Peppino De Filippo in “Gli infermieri della mutua” (sulla scia del celebre titolo di Sordi). Ma, inaspettatamente, eccolo recitare seriamente, con quell’asciutta vena drammatica che è sua riserva espressiva, nel francese “La mano” (1969). Degli anni settanta sono “Quella piccola differenza” e “Le mur de l’Atlantique” – alternati agli impegni di palcoscenico leggero (le sue amate operette, ‘imparate’ dal collega Sandro Massimini, che morì troppo presto) comprendenti “La vedova allegra”, “Cincillà”, “Il paese dei campanelli” – e poi, di ritorno al tetro di prosa, con “Don Giovanni involontario” di Brancati (1970), “La lezione” e “Delirio a due” di Jonesco (1980).
Si intensifica, intanto, l’adesione (professionalmente impeccabile, sobria, mai volgare) ai diversi generi della commedia: da “Malizia” (1973) a “Gli amici degli amici hanno saputo” (1973), da “La seduzione” (1973) a “La governante” (1974), da “L’ammazzatina” (1975) (ineffabile tandem con Vittorio Caprioli) a “La donna della domenica” (1975) (ove tiene testa a Marcello Mastroianni). Progressivamente stimato da Pasquale Festa Campanile, Luigi Comencini, Nanni Loy Caruso recita poi in “Il ficcanaso” (1980), “L’esercito più pazzo del mondo” (1981), “Canto d’amore” (1982) e “Scugnizzi (film del 1989 che rivelerà un altro talento siciliano, Leo Gullotta)
All’inizio degli anni novanta Pino scrive e interpreta per il teatro, in apprezzata tournée nazionale, “Conversazioni di uomo comune” (1991), seguito da “La questione settentrionale” (1992-1993) e da “Retablo” (1998). Tornando al cinema con “Per quel viaggio in Sicilia” (1991) e “La strategia della maschera” (1998). In televisione si concederà di essere ‘partecipazione inappuntabile e straordinaria’ in fiction e telefilm quali “Ultimo” (1998), “Non lasciamoci più” (1999)- e soprattutto la serie “Carabinieri” (2002-2003) con il ruolo del Maresciallo Capello “che mi va a pennello” (dixit)…Quello che oggi purtroppo simbolicamente deponiamo per ultimo saluto.
Ps Giornalista pubblicita dal 1976, Pino Caruso ha collaborato a giornali e riviste, titolare di rubriche fisse (di satira e costume) alternate sui quotidiani “Il Mattino”, “Il Messaggero”, “Paese Sera”, “L’Avanti”, “L’Unità”, “La Sicilia”. Esiste una collezione? E, se no, perché non darsi da fare…