Premio della Giuria allo scorso Festival di Cannes, Cafarnao è uno di quei film necessari, che colpiscono e poi rimangono addosso. Rispetto ai precedenti film di Nadine Labaki, Caramel e E ora dove andiamo, più sensuali ed ironici, Cafarnao è un’opera dalla potente espressività, a tratti disturbante.
Zain è un ragazzino di 12 anni (che ne dimostra 9) che vive in quartiere povero di Beirut. La sua numerosa famiglia è alloggiata in una minuscola casa fatiscente. Zain, che contribuisce al mantenimento della famiglia lavorando duramente, è molto legato alle sorelline e in particolar modo a Sahar, che a soli 11 anni è promessa sposa ad un uomo molto più grande di lei, proprietario di un negozio. Zain, più saggio dei genitori, si oppone a questo matrimonio e fa di tutto per salvare la sorella. Quando si rende conto di avere fallito scapperà di casa.
Prima del drammatico plot, ciò che colpisce sono le immagini cristalline di una Beirut polverosa e decadente. I tetti delle baraccopoli, i muri scrostati della casa di Zain e le carrellate sulle celle sovraffollate da centinaia di uomini, donne e perfino bambini, ci raccontano più di quanto non faccia la storia. Un microcosmo crudele dove non esiste pietà per nessuno, nemmeno per una bambina di 11 anni. Dove colei che dovrebbe proteggerla (la madre) è la prima a venderla. Ma forse in cuor suo è convinta di salvarla dalla miseria, anche perché lei stessa è stata costretta a sposarsi a quell’età. L’unico a non accettare quest’ordine sociale, che sembra lasciato al caos ma che invece segue delle precise regole patriarcali, è Zain, che possiede un suo personale codice etico. Pur consapevole che la legge vigente non sarà mai “giusta”, matura la paradossale decisione di fare causa ai genitori, per la semplice ragione di averlo messo al mondo.
Un film che ha l’intensità di un melodramma e lo stile del cinéma vérité che ricorda quello dei fratelli Dardenne, soprattutto per quel delicato pedinamento del protagonista, di matrice zavattiniana. Ma Labaki pur ispirandosi a questi autori è capace di creare qualcosa di fresco ed attuale. Ciò è stato possibile grazie al lungo lavoro di preparazione che ha preceduto le riprese (sopralluoghi, interviste etc) e alla presenza dello straordinario Zain Al Rafeea, un ragazzino siriano, senza documenti, che la regista ha scovato dopo numerosi provini.