Lavorando in Rai da oltre trent’anni – ma ancora “sul marciapiede” (come Ennio Remondino definisce la prossimita’ alle notizie) – ero decisamente incuriosito dalla lettura del libro “Roma non perdona” di Carlo Verdelli. Il quale alla Rai ha trascorso soltanto un anno ma al piano piu’ alto, il settimo di Viale Mazzini. E con una missione ambiziosa: “svecchiarla e proiettarla nel mondo di oggi”.
Non entro nel merito dei problemi elencati dall’attuale direttore di Repubblica (e non ne avrei nemmeno l’autorità). Le descrizioni di situazioni e personaggi sono brillanti (personalmente sono un suo lettore da quando scriveva su “Panorama mese” negli anni ‘80). Ma alla fine delle 219 pagine mi è rimasto un dubbio sul modo con cui l’autore ha affrontato (e perso, per sua stessa ammissione) la sfida. Che era poi quella, per il direttore dell’informazione del Servizio Pubblico, di fare uscire noi, i giornalisti alle sue dipendenze, dalla “bolla”.
Perché leggendo i 25 capitoli sembra che anche lui sia rimasto imprigionato… in un’altra bolla. Passando le giornate (quasi) solo a fare riunioni: nella sua stanza decorata con un cactus, nella sala Orsello, a palazzo San Macuto, etc. Ma mai in quella che lui definisce “la fabbrica dell’informazione” di Saxa Rubra. La scelta di vivere in un residence a due passi dall’ufficio la capisco bene. Ma di sicuro non l’ha aiutato. Un grande capo trascorre il tempo con i suoi pari, ci mancherebbe altro. Ed infatti ecco la cronaca di un pranzo con il presidente del consiglio, di una tisana con il direttore generale e di varie audizioni alla Commissione Parlamentare di vigilanza. Insomma una vita da quartier generale. Anche se i condottieri delle grandi guerre, per la verità, amano sempre farsi immortalare mentre assaggiano il rancio dei soldati semplici. Ed alcuni – come Napoleone – facevano perfino un giro attraverso i bivacchi la notte prima delle battaglie più importanti.
Pazienza, Verdelli non scendeva a mensa e può darsi che – dal punto alimentare – sia stata anche la scelta giusta. Ma dal suo diario “di trincea” sembra che non sia neanche andato a visitare troppi avamposti dell’esercito – magari poco efficiente ma comunque imponente – di cui era responsabile (1729 giornalisti, 24 redazioni regionali, undici uffici di corrispondenza all’estero,etc.). D’altro canto, con tutte le cose che aveva da fare, era normale affidare le esplorazioni sul territorio alla squadra di cui aveva scelto di circondarsi. E che alla fine ricopre di elogi per il lavoro svolto… Benché le espressioni più affettuose – noblesse oblige – siano quelle riservate alla sua segretaria ed all’autista…
E tutti gli altri tredicimila dipendenti Rai (escluso naturalmente il resto degli inquilini del settimo piano) ? Nel libro, francamente, si vedono poco. Verdelli racconta che alcuni si presentano spontaneamente alla sua porta, e lui apre con la cortesia riservata ai piazzisti (« grazie ma non abbiamo bisogno di niente »). Tanti gli scrivono ma lui è davvero incuriosito solo da una mail di Enrico Messina, che decide di conoscere di persona. Ed inizia a frequentare. A mio giudizio è il capitolo più bello. Ma anche quello che mi ha fatto venire più dubbi. Il vecchio collega in pensione, infatti, gli da’ subito un consiglio: “sai cosa devi fare, caro Carlo ? Convocare una riunione plenaria a Saxa, con tutti i giornalisti, e spiegargli cos’hai in testa”. Enrico era vice di Bruno Vespa quando il direttore del Tg1 venne sfiduciato dalla redazione, di assemblee in cui esci con un’idea diversa da quella con cui sei entrato ne ha viste tante. Ma non riuscira’ a convincere il direttore dell’informazione …
Perché Verdelli preferisce presentarsi un po’ come un predicatore in terra sconsacrata. “La Rai mi ha esplulso come un corpo estraneo”, spiega. Ma nel libro racconta di aver passato il tempo soprattutto con i “padroni” del servizio pubblico, nel tentativo di convincerli a cambiare rotta. Con l’evidente convinzione – e qui sembra essere davvero d’accordo con Napoleone – che poi, sempre e comunque, “l’intendenza seguirà”. Se cambieranno gli ordini del Palazzo le truppe non potranno fare a meno di adeguarsi. La loro reputazione, del resto, e’ nota. In definitiva a lui preme cambiare il piano regolatore: dopo il ripensamento degli spazi la gente non potrà che essere contenta di andarci ad abitare (nel nostro caso di andarci a lavorare). Le banlieue francesi sono state disegnate da grandi architetti, ed i residenti all’inizio – li consideravano quartieri ideali. Poi sappiamo tutti invece com’è andata a finire… Quando il gioco – come direbbe John Belushi – diventa duro… a Verdelli viene la tentazione di scrivere una mail a tutti i dipendenti. Ma (pag 124) “la mail non arrivo’ a nessun destinatario perche’ non parti’ mai”.
Il contributo di Verdelli è finito in archivio ma il dibattito sulla riorganizzazione della Rai continua. E questa è solo la riflessione di un lettore, priva di altre pretese: “Roma non perdona” mi è sembrata la cronaca di un viaggio tanto appassionato quanto solitario.”Tra i tanti posti dove ho cercato di fare giornalismo, la Rai e’ stato l’amore forse piu’ intenso, di certo il piu’ breve”, conclude l’autore. Che forse, pero’, ha cercato di imporlo – questo amore – senza interrogarsi davvero sui sentimenti di una Rai gia’ troppe volte sedotta e abbandonata. Buona strada, Carlo.