I Nas sequestrano per la prima volta fentanili, oppioidi sintetici potenti. Negli Usa il mix con i farmaci fa migliaia di overdose l’anno. In Italia non si sa. L’analisi di Riccardo Gatti: “Se in una notte ci sono 10 arresti cardiaci per sostanze in 10 pronto soccorsi, non lo sappiamo. Serve unire i dati”
MILANO – Negli Stati Uniti ci sono stati 11.537 morti nel 2017 per overdose da psicofarmaci derivati dalle benzodiazepine. Da soli o mischiati con altre sostanze (dati dell’Istituto nazionale per l’abuso di droghe americano). Il 75 per cento di queste morti sono state provocate dal mix di benzodiazepine con oppioidi. Altri 10.333 morti per overdose in nord America, sui 70.237 totali, se la sono provocata abusando di farmaci psicostimolanti da soli o combinati con metanfetamine o oppiodi. Qual è la situazione in Italia? “Non ne abbiamo mai sentito parlare”, risponde Riccardo Gatti, Direttore dei servizi per le dipendenze dell’area penale e penitenziaria di Milano, a cui afferiscono la metà dei Sert della città, inclusi quelli delle tre carceri (San Vittore, Bollate e Opera) e quello del Tribunale.
“Perché non ci sono? Perché non lo sappiamo? – si domanda Gatti –: La nostra emergenza nasce quando muore una ragazzina minorenne dentro a un parco, ma è possibile che ci siano già decessi di persone non conosciute come tossicodipendenti e che non hanno segni sul corpo perché non si iniettano le droghe”. Aggiunge: “È chiaro che se una persona viene trovata con la siringa nel braccio, si vede che sostanza c’è ed entro certi limiti ci allertiamo. Ma se nello stessa nottata, in dieci pronto soccorsi differenti poniamo del nord est d’Italia, dieci persone hanno un problema identico, noi non ce ne accorgiamo”. Lo stesso accade se “in una certa zona del Paese o in una regione aumentassero a dismisura e in tempi rapidi le crisi collegate alla funzionalità cardiaca, in fasce d’età fra dove normalmente non dovrebbe capitare, potremmo pensare anche che stanno circolando degli stimolanti di un certo tipo e che queste persone li usano”. Ma non accade, perché “o per un motivo casuale finiscono nelle mani dello stesso operatore medico, dello stesso magistrato, che se ne accorgono, oppure ognuno pensa di avere di fronte sé un arresto cardiaco raro ma che può verificarsi”.
Serve fare rete, dice Riccardo Gatti, per migliorare sistemi di monitoraggio e di allerta. Perché “il nostro sistema di intervento considera l’uso di sostanze un’anomalia, per lo più vietata, perché pensa solo alle droghe considerate illegali. Questo fa sì che non siano stati costruiti sistemi di osservazione e di allerta che lo considerano un fenomeno normalmente possibile. Se si diffondessero sostanze psicoattive come i fentanili e provocassero eventi nocivi, dai malori fino alla morte, potremmo accorgercene solo quando l’emergenza diventa evidente e troppo consistente, mentre prima rischiamo di sotto dimensionare il problema”.
Un esempio che non viene fatto a caso: Il 21 febbraio 2019, il Sistema Nazionale di Allerta Precoce dell’Istituto Superiore di Sanità ha ricevuto una segnalazione da parte del Reparto Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri di Roma: i Nas hanno sequestrato un plico postale e una bustina trasparente contente 12,27 grammi di polvere bianca. Le analisi hanno portato all’individuazione per la prima volta in Italia di due molecole appartenenti al gruppo dei fentanili, una famiglia di oppioidi sintetici potenti che negli ultimi due anni si sono diffusi anche in Europa. Vengono venduti come sostituti “legali” agli oppiacei illegali, al posto di o insieme a eroina e cocaina. Oppure utilizzati per produrre farmaci contraffatti. Non sempre i consumatori sono consapevoli di cosa stanno comprando. Le due molecole non sono a oggi inserite nelle tabelle del Dpr 309/90, il Testo unico sugli stupefacenti. L’intera operazione dei Carabinieri è nata proprio dall’osservazione di persone che non rispondevano all’antidoto, il naloxone, alle dosi usuali.
“I sistemi di monitoraggio dei fenomeni vanno arricchiti – afferma Gatti –. Noi oggi abbiamo il sistema di allerta, i dati ordinari di chi si rivolge ai servizi per le dipendenze e alcuni sondaggi che ci permettono di conoscere gli atteggiamenti di consumo da parte della popolazione. Invece servono meccanismi più evoluti anche a livello locale”. Perché? “I modi di utilizzo delle sostanze, e le sostanze psicoattive stesse, variano nel tempo anche molto velocemente in base a ‘mode’, a cosa è effettivamente disponibile sul territorio, alle agende delle organizzazioni criminali”.
Per il direttore milanese del SerD Area Penale “il normale sistema di osservazione dello stato di salute della popolazione sottovaluta queste situazioni che ci sono in un periodo, poi spariscono, per diventare altre in tempi rapidi”, perché è abituato a confrontarsi con “i dati statistici sulle condizioni di salute generale dei cittadini che però ha a che fare con fenomeni sanitari statici: non accade che gli infarti del miocardio di per sé aumentino o diminuiscono di anno in anno di grandi valori, perché la popolazione è quella, le patologie sono quelle, hanno una relazione con l’età e si possono osservare gli andamenti che nel tempo si spostano”. Proprio per colmare questo gap di conoscenza, “noi abbiamo a disposizione in teoria tutta una serie di dati possibili: i controlli stradali, che cosa accade con gli interventi di pronto soccorso, le chiamate delle ambulanze o della forza pubblica per problemi che possono essere connessi all’uso di sostanze, il monitoraggio e la variazione dei decessi classificati come ‘morte naturale’. Quello che ci manca è la capacità di leggere queste fonti aperte e farne una sintesi che ci dica sta succedendo o no qualcosa di grave”.
Arriviamo tardi, dice Gatti, a cose fatte. Anche perché “i sistemi di rilevazione e di analisi delle sostanze nei pronto soccorsi, come quelli per i controlli stradali, vanno a rilevare solo un numero ristretto di queste, mentre ne circolano molte di più” ma “di recente sono uscite macchine che permettono una determinazione qualitativa sulla presenza di un numero molto ampio di sostanze nei liquidi biologici. Sono aggiornabili nel tempo e non costano molto”. E chiude: “Le stesse schede di dimissione ospedaliera non è detto che siano classificate in modo tale da dirci che l’evento per cui la persona è stata ricoverata o è entrata in ospedale sia collegato all’uso di sostanze stupefacenti: magari viene descritto nel testo della cartella l’utilizzo di sostanze, ma i nostri strumenti vedono solo la dimissione”. Per questa ragione “occorre una rete di osservazione costruita in modo diverso da quello che abbiamo”. (Francesco Floris)