“Se si pensa che c’è ancora chi ritiene che il Veneto sia da inserire tra le “isole felici” c’è da restare davvero sbalorditi”. Così scriveva la Commissione parlamentare antimafia nel 1993 dopo il suo sopralluogo nella nostra regione. La conferma non più dell’infiltrazione mafiosa nel Nord Est – terra che ha anticipato di vent’anni rispetto a “Mafia Capitale” la nascita di una mafia autoctona, quella del Brenta – ma del suo radicamento, si è avuta nelle scorse settimane con le operazioni “Terry” e “At Last” condotte dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia in provincia di Verona e ad Eraclea. Inchieste in cui si è riscontrata la presenza di ‘ndranghetisti e camorristi e che sono state precedute da altre attività investigative svolte dalla Direzione investigativa antimafia di Padova e da uffici giudiziari, in particolare del Sud Italia, negli ultimi anni.
Insieme al lavoro delle Procure merita di essere segnalato il lavoro svolto da alcune Prefetture venete, in particolare da quella di Verona diretta fino a qualche giorno fa da Salvatore Mulas, ora trasferito al Viminale. La prefettura scaligera in tre anni ha emesso diciassette interdittive antimafia, altre cinque sono state emesse a Treviso e due a Padova. L’interdittiva è una misura di prevenzione di carattere amministrativo che inibisce un’impresa di poter lavorare con la Pubblica amministrazione per un prolungato arco temporale. Mettendo insieme i dati sulle interdittive con quelli delle operazioni finanziarie sospette, raccolte dall’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, e i dati sui beni confiscati, gestiti da un’apposita Agenzia nazionale in capo al Ministero dell’Interno, quello che emerge è che in Veneto e nel Nord Est la mafia assume i caratteri dell’impresa che fornisce servizi, investe denaro riciclato, offre capitali a chi non ne trova nel circuito economico legale. Non manca lo spaccio e il traffico di droga nonché l’esercizio della violenza che, tuttavia, viene utilizzato in modo specifico e senza creare allarme sociale diffuso. Per esempio, si minaccia di usare le armi o si picchia al fine di recuperare dei crediti in nome e per conto di imprenditori e cittadini veneti. E’ accaduto, da quanto si legge nelle cronache e negli atti giudiziaria, sia a Zimella che ad Eraclea. Segno quindi che il metodo mafioso è conosciuto da una parte della popolazione veneta ed esso gode di un certo consenso sociale. I mafiosi sono percepiti come più efficienti e rapidi degli appartati dello Stato nel risolvere i problemi. Anche se il costo è maggiore non importa. In realtà, i veneti e coloro che si rivolgono ai boss dovrebbero sapere che il prezzo che si paga è molto alto: rivolgersi alle mafie significa perdere per sempre la propria libertà e la propria sicurezza, oltre che la propria azienda. È questo che emerge nei fatti dalle inchieste giudiziarie citate in precedenza.
Nel Nord Est, com’è stato scritto anche in documenti ufficiali, la negazione e la sottovalutazione della presenza mafiosa ha avuto il sopravvento per troppo tempo, non solo a livello sociale e politico ma anche negli apparati investigativi e giudiziari. La mafia è stata considerata molto spesso un problema di ordine pubblico e dei meridionali. Parlare di mafia in Veneto e nel Nord Est significava, e per molti significa tuttora, rischiare di sporcare l’immagine di un territorio che vive in modo significativo anche di turismo. Lo si è visto recentemente anche ad Eraclea dove una manifestazione antimafia organizzata dai sindacati ha visto l’assenza della popolazione e di una parte importante della politica e dell’imprenditoria locali.
Non tutti i veneti hanno girato la testa dall’altra parte in questi anni. Alcune associazioni, tra cui Avviso Pubblico, Libera, Legambiente, Arci, Articolo 21, da anni denunciano la presenze delle mafie sul suolo Veneto. Avviso Pubblico, che oggi conta più di 70 enti locali associati, grazie al sostegno della Legge regionale 48/2012, ha portato avanti un progetto formativo destinato agli amministratori locali, al personale della Pubblica amministrazione, ai comandanti e agenti della Polizia locale per spiegare cosa sono le mafie, come operano nei nostri territori e quali strumenti e strategie di prevenzione mettere in atto. Una su tutte: agire con trasparenza e costruire una vasta rete di collaborazione tra istituzioni, scuole, associazioni, mondo del lavoro, delle professioni, del sistema finanziario e dell’informazione.
E’ importante ribadire questo concetto il 6 marzo prossimo a Padova, nella manifestazione intitolata “L’informazione sorgente di democrazia”, un’occasione nella quale ribadiremo la nostra vicinanza a Monica Andolfatto, Paolo Borrometi e a tutti i giornalisti italiani minacciati dalle mafie. Un’occasione, inoltre, per invitare tutti i cittadini a sottoscrivere l’appello “Ribelliamoci alle mafie” promosso da Avviso Pubblico e Corriere del Veneto e ad essere presenti in massa il 21 marzo, in occasione della Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.
Pierpaolo Romani
Coordinatore nazionale di Avviso Pubblico