Strani segnali di effervescenza, nel vischioso mondo dell’industria culturale e creativa italiana: se i dati relativi al “box office” cinematografico italiano continuano ad evidenziare andamenti negativi (gli incassi di febbraio sono stati di 50,2 milioni di euro, ovvero il peggiore risultato dal 2014, confermando i dati pessimi di gennaio; nei primi due mesi, la produzione italiana registra il peggior risultato dal 2010…), è apprezzabile che uno dei primi atti del neo Direttore Generale del Cinema, Mario Turetta (vedi “Key4biz” del 6 febbraio 2019, “Mario Turetta nuovo Direttore Generale Cinema del Mibac”), sia stata la firma, mercoledì 6 marzo, di un decreto con il quale viene avviata la procedura per la “valutazione di impatto” della legge cinema Franceschini-Giacomelli, peraltro richiesta dalla legge stessa (n. 220 del 2016).
In verità, una prima “valutazione” sarebbe già stata prodotta, ma il suo risultato è stato assolutamente deludente, perché la società che ha vinto la gara, la britannica Olsberg Spi Ltd, si è limitata a produrre un documento esclusivamente “metodologico” (vedi quel che scrivevamo criticamente su “Articolo21” il 28 dicembre 2018). Immaginiamo che Mario Turetta, appena insediatosi, abbia cercato di comprendere lo stato di salute del sistema cinematografico e audiovisivo nazionale, e si sia presto reso conto del grave enorme incredibile deficit di dati, analisi, studi.
Confidando che finalmente ci sia alla guida della Direzione Cinema un manager che comprenda fino in fondo quanto sia fondamentale disporre di un “sistema informativo” all’altezza degli obblighi di legge, e delle esigenze di monitoraggio dell’intervento della mano pubblica, ci auguriamo che si tratti soltanto del primo atto di un processo di esplorazione cognitiva tutto da costruire. Ci permettiamo di segnalare che l’“avviso a manifestare interesse” firmato in data 6 marzo 2019 ricalca il precedente avviso, e concentra l’attenzione sugli aspetti economico-industriali del settore, allorquando la dimensione culturale-artistica appare del tutto trascurata: riteniamo che un’analisi approfondita debba in verità prendere in considerazione anche elementi delicati ed importanti come l’estensione del pluralismo espressivo, lo sviluppo della creatività, i nuovi linguaggi, la formazione, la sperimentazione… Non si può valutare lo stato di salute – o l’efficacia dell’intervento della mano pubblica – soltanto in una prospettiva economico-economicista: la valutazione deve essere multidimensionale, nella quale la componente culturologica (e sociologica) non può essere ignorata.
Mentre il cinema italiano “piange” (nei risultati di mercato, non certo nel sostegno della mano pubblica: ricordiamo che la nuova legge prevede un fondo pubblico di ben 400 milioni di euro l’anno al settore), la “rivoluzione digitale” emerge nelle sue varie manifestazioni, anche sul mercato italiano.
Nei giorni scorsi, sono state presentate due “start-up” assai diverse tra loro, che rappresentano un esempio di come “il digitale” può modificare radicalmente modalità di fruizione e processi di produzione, insomma sia l’economico sia il semiotico del sistema culturale…
Martedì scorso 5 marzo al “Macro Asilo” di Roma, Bruno Pellegrini e Carlo Infante hanno presentato Loquis (rispettivamente nella veste di fondatore e “ceo” il primo, e di “storyteller” e socio di minoranza, nonché promotore di Urban Experience, il secondo), una “applicazione” per dispositivi mobili (ios and android) che funziona come un “navigatore”, solo che, invece di fornire le indicazioni di guida, ci racconta ciò che abbiamo intorno. Potremmo definirla “una app per ascoltare le città”.
Una volta selezionati i canali che si vuole seguire, sulla base della nostra posizione e dei nostri interessi, basterà accenderlo e iniziare a muoversi: Loquis leggerà automaticamente per il fruitore i contenuti più interessanti, calcolando la distanza, la velocità e altre impostazioni.
Al posto delle direzioni stradali, Loquis propone storie e notizie in 5 lingue sui luoghi che si stanno attraversando. Una sorta di “realtà aumentata audio” che permette di ascoltare i territori mentre li attraversiamo. In sostanza, camminando per la città (o viaggiando per il Paese), si può disporre di una “guida” critica mirata (e personalizzata), che può consigliarci cosa vedere nelle vicinanze, sia dal punto di vista culturale-artistico, sia dal punto di vista gastronomico ed altri ancora. L’applicazione ha ricevuto ottime recensioni degli utenti su Google Play Store (4,5 / 5), Apple Store (5 / 5), Facebook (5 / 5), e già alcune recensioni davvero positive da numerose testate nazionali.
Secondo Bruno Pellegrini, “il nostro modo di interagire col web vira sempre più sulle interfacce vocali”. È su questo terreno e, più in generale, “nel settore dell’audio digitale, che si consumerà la prossima battaglia per la conquista del nostro tempo lontano dagli schermi connessi”. La realtà comunicazionale futura non sarà dominata soltanto dalle immagini, ma anche dalla dimensione “audio”: “siamo alle soglie di un cambiamento di paradigma importantissimo nel modo di interagire con internet, diverso da quello basato su interfaccia visive a favore di quelle vocali. Già oggi, il mercato dell’audio digitale – cuffie, auricolari, earpods – è quanto mai florido e nel futuro saranno sempre più presenti nelle nostre vite smart speakers, virtual assistant, connected cars e audio augmented reality”…
Ricordiamo che Bruno Pellegrini è un imprenditore visionario, che ha alle spalle alcune intraprese avanguardistiche, purtroppo non premiate dal successo che pure avrebbero meritato: da TheBlogTv (che ha sperimentato la produzione di contenuti “dal basso” nonché le pratiche di “crowdsourcing”) al canale televisivo Babel Tv (che aveva come target le comunità straniere in Italia). È anche autore di uno dei più lucidi saggi sulle potenzialità creative, dal basso, della rivoluzione digitale, pubblicato una decina di anni fa: “Io? Come diventare videoblogger e non morire da spettatore”, per i tipi di Luca Sossella Editore (2007).
Torneremo presto su Loquis, per un opportuno approfondimento, ma ci piace qui “affiancarlo” ad un’altra inedita iniziativa presentata l’indomani, con tutt’altro approccio e tutt’altre ambizioni, da un altro eccentrico “esploratore” della dimensione digitale.
Mercoledì scorso 6 marzo, sempre a Roma, presso gli “Studios” di via Tiburtina, è stato presentato in Italia TaTaTu, che si propone come “il primo social media dove gli utenti guadagnano”. Qui l’ambizione è… napoleonica!
Il “social” intende scardinare alla radice alcuni paradigmi, da YouTube a Netflix: nel bene e nel male, effettivamente queste piattaforme “estraggono” valore dalla fruizione di contenuto da parte degli utenti (sia “gratuitamente” – in apparenza – ovvero sotto forma di pubblicità, sia sotto forma di “pay-per-view”), mentre TaTaTu ha l’ambizione di riequilibrare l’asimmetria a vantaggio dell’utente e dei produttori di contenuto.
Attraverso un complesso sistema di dati basato sulla “blockchain” ed i “bitcoin”, la piattaforma consente accesso, gratuito, ad una serie di contenuti: più l’utente fruisce di film, audiovisivi, videogames (è stata dichiarata una disponibilità di oltre 5mila ore di contenuti), più “guadagna” punti, ovvero accumula “coin”, che può spendere all’interno della “community” dei partner del “social network”.
Grazie ad un “token” appositamente progettato, il “Ttu Coin”, e ad un protocollo di “smart contract”, TaTaTu propone un ambiente trasparente ed in cui sia il fornitore che il fruitore dei contenuti vengono ricompensati in modo equo. I “token” guadagnati potranno essere scambiati in “coupon” per l’acquisto di prodotti ed in “coupon” utilizzabili negli e-commerce gestiti da Triboo. L’applicazione è già disponibile per ios ed android.
Sulla carta, la formula “più guardi e più guadagni” è ovviamente convincente.
L’idea è… avveniristica o… realistica o… velleitaria (dipende dal punto di vista).
Quel che non ci ha convinto, al di là delle eccellenti doti narrative dell’ideatore e fondatore, il giovane e simpatico italo-canadese Andrea Iervolino (che, a trent’anni, vanta una “library” di 500 film, e dichiara di aver partecipato alla produzione di 80 film; è socio di Monika Bacardi, una delle eredi della dinastia omonima, ed a sua volta attiva con la società di produzione Ambi Pictures), è lo sfuggente “modello di business”, che è stato descritto efficacemente in termini teorici, ma senza rivelare un dato uno (!) sulle ambizioni di fatturato e sulle caratteristiche dell’impresa. Iervolino, da noi sollecitato, ha sostenuto che i suoi avvocati consigliano di non “sparare” alcuna cifra, in questa fase iniziale, ma alla fin fine ci ha rivelato che la fase “beta” ha finora registrato 1 milione di iscritti alla piattaforma, e che prevedono 5 milioni entro la fine del 2019, nei cinque Paesi nella quale la piattaforma è stata finora lanciata (Usa, Canada, Nuova Zelanda, Uk, Italia). Non è un target da poco, 5 milioni di iscritti alla piattaforma.
Secondo alcune fonti, TaTaTu avrebbe raccolto finanziamenti da parte di investitori nell’ordine di 575 milioni di dollari (non pochi spiccioli…), ma va ricordato – nell’economia digitale e soprattutto in quella dei “bitcoin” – che il livello di trasparenza di queste intraprese è terribilmente basso. Per esempio, la sede legale di TaTaTu Enterprises è a Londra, ma, cercando su web, se ne ritrova traccia alle Cayman piuttosto che ad Aruba…
Che futuro reale di mercato potrà avere quella che si annuncia ambiziosamente come la “prima sharing economy del free time”?!
Come abbiamo scherzosamente detto a Iervolino, tra un paio di anni potremo sapere se abbiamo avuto il piacere di assistere alla presentazione italiana di un futuro Mark Zuckerberg o se l’iniziativa verrà classificata, tra le tante, nell’affollato cimitero delle “start-up” che non hanno trovato la “killer application” giusta, tra bolle di sapone e fuochi d’artificio…
Su entrambe le iniziative (sulle quali torneremo presto, per gli opportuni approfondimenti), crediamo però che i “policy maker” italiani dovrebbero riflettere attentamente: che si tratti di sostegno alle industrie culturali e creative o più in generale all’innovazione, manca ancora nel nostro Paese una attenzione organica e strategica rispetto ad iniziative che possono divenire veramente rivoluzionarie, nella convergenza tra “culturale” e “digitale”. Questa attenzione ancora non c’è, oppure, se c’è, è distratta e frammentaria.
Ci si consenta una battuta conclusiva: non 1 parola una, nelle quasi 600 pagine del “piano industriale” Rai approvato dal Consiglio di Amministrazione mercoledì 6 marzo (5 voti a favore, 2 contrari: vedi “Key4biz” del 6 marzo 2019, “Rai. Oggi in cda il piano industriale 2019-2021, con l’assetto ‘content-centric’ e le nuove 9 direzioni”), sulle potenzialità che la rivoluzione digitale può scatenare nel mercato della fruizione mediale. Forse anche grazie ad “app” come Loquis e TaTaTu.
Ci domandiamo se qualcuno, da Viale Mazzini, si è preso la briga di alzarsi dalla propria comoda poltrona di dirigente apicale, per andare a dare un’occhiata alla presentazione di intraprese innovative come Loquis o TaTaTu. Noi, alle due presentazioni, non abbiamo visto nessuno dei super-manager Rai, e nemmeno dei super-consulenti della Boston Consulting Group (Bsc) di cui l’Amministratore Delegato Fabrizio Salini ha sentito bisogno per predisporre il “piano industriale”…
“Meditate gente, meditate”, come usava ripetere il saggio Renzo Arbore.
*Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it)