“Apprendiamo con sorpresa, indignazione e sgomento la notizia che il prefetto e la sindaca di Roma vogliono rispondere all’abbandono, al degrado, alla vergogna dei campi rom con l’iniziativa meno adeguata e più sterile: quella di inviare un presidio di militari in due campi, quello di Salviati a Tor Sapienza e quello di Castel Romano. In questo modo risulta ancora più evidente la mancanza di comprensione delle dinamiche che caratterizzano i campi rom della capitale, le cause del loro degrado e delle illegalità che li caratterizzano.
Innanzitutto quello che dopo tanti anni ancora non si capisce a livello istituzionale è che il nocciolo del problema risiede nella necessità di inclusione e che la mera repressione non produrrà alcun risultato come l’esperienza del passato recente e meno recente ha ampiamente dimostrato.
Va detto senza tergiversare che i “campi” si presentano come repellenti baraccopoli, quali una società civile non può permettersi senza disonorarsi. All’inizio di febbraio sono venute in Italia due delegazioni di importanti organismi internazionali (Ohchr – Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani – organismo dell’ONU, e CESE – Comitato Europeo economico e sociale –organismo dell’UE) che sono rimaste semplicemente esterrefatte della condizione dei campi rom.
L’Italia è l’unico paese al mondo che ha stabilito che i rom e sinti debbano vivere nei cosiddetti “campi sosta” in nome di un nomadismo che non esiste più da decenni. Questi campi fin dall’inizio (metà degli anni ’80) hanno assunto la reale configurazione di luoghi di segregazione razziale perché predisposti per una sola etnia.
Tutti ricordano i recenti eventi di “mafia capitale” laddove si scoprì il bubbone della vasta corruzione proliferata attorno agli stanziamenti destinati ai campi rom ma dei quali ai rom e sinti non arrivarono che le briciole tanto che è passata alla storia l’intercettazione di uno dei protagonisti colto mentre diceva che sui campi rom si guadagnava più che sulla droga.
Da allora i finanziamenti comunali per i rom precipitarono attuandosi il classico getto del bambino con l’acqua sporca. Il progetto di scolarizzazione affidato con bando ad associazioni del terzo settore fu loro tolto e la conseguenza da un anno all’altro è stato il crollo della frequenza (del 50%!). I presidi h12 e h24 installati in vari campi furonosoppressi e ne è conseguita l’emersione di famiglie dominanti.
La Strategia Nazionale di inclusione sociale di Rom sinti e caminanti,approvata dal Governo nel 2012, indica giustamente i pilastri ineludibili per una reale integrazione: Casa, lavoro, salute, istruzione corredando la segnalazione con adeguate proposte concrete. Non sembra che al Comune di Roma e alla Regione Lazio abbiano letto il documento governativo.
I campi rom sono baraccopoli fatiscenti infestate dai ratti che dall’imbrunire scorrazzano in branchi famelici, la disoccupazione è altissima. Molti rom, prima di dedicarsi ad attività al limite se non oltre la legalità le provano tutte per mantenere sé stessi e famiglie assai numerose, ma il mercato del lavoro condivide la radicata ostilità che si riscontra ovunque. La società maggioritaria, spesso grondante pregiudizi, discrimina ed esclude. Vivere in una baracca senza lavoro con 10 figli è vivere ? come si fa a sopravvivere ?. E’ compito delle istituzioni e della società maggioritaria, includere, offrire una mano di aiuto a che non ce la fa soprattutto perché odiato, discriminato, osteggiato. I cosiddetti social grondano manifestazioni violente di odio contro rom e sinti. Dove sono le istituzione cui ne competerebbe il contrasto ?
L’abbandono, l’ostilità, la segregazione sono vissute con rassegnazione e paura e la risposta inconsapevole ma reale è spesso l’illegalità ma l’illegalità del povero, dell’emarginato, per quanto condannabile non può avere lo stesso peso della violazione dei diritti umani perpetrata dalle istituzioni”.
Lo scrivono in una nota CITTADINANZA E MINORANZE, MOVIMENTO KETHANE, Associazione UPRE ROMA CONSULTA ROM E SINTI MILANO, ALLEANZA ROMANI