Articolo21 (Circolo del Veneto) – Centro Altinate gremito a Padova per “Le mafie nel Triveneto, dal passaggio al radicamento”, seminario tematico di Libera sull’informazione che illumina le opacità contro il malaffare. L’iniziativa, promossa nell’ambito della giornata nazionale della memoria delle vittime delle mafie che nella mattinata è stata salutata da un corteo di oltre 50.000 persone, è stata introdotta da Lorenzo Frigerio, coordinatore di Libera Informazione, che ha sottolineato come il lavoro giornalistico sia un prezioso strumento di sorveglianza democratica. “Non dobbiamo sostituirci a magistratura e forze dell’ordine – ha premesso – ma rafforzare un ruolo di prevenzione”. Tema su cui si è innestato pure il saluto di Guido D’Ubaldo, segretario nazionale dell’Ordine dei giornalisti, che ha marcato la stretta unità con la Fnsi, anche su questo terreno. “Abbiamo scelto insieme la strada della scorta mediatica – ha sottolineato – affiancando i colleghi minacciati costituendoci parte civile, ponendo l’urgenza di una legge contro le querele bavaglio, supportando i 19 giornalisti oggi sotto scorta in Italia”.
Molti tra questi colleghi hanno illuminato vicende di criminalità organizzata, questione particolarmente avvertita in Veneto, soprattutto dopo le incisive indagini coordinate dal procuratore Bruno Cherchi. “Nel nostro territorio – rileva il capo della Direzione distrettuale Antimafia di Venezia – le mafie si pongono in maniera quasi silente, cercando principalmente di riciclare i proventi di pizzo, estorsioni, spaccio e altri reati, magari mettendosi a disposizione di piccole e medie imprese in difficoltà, aprendosi così varchi di penetrazione e radicamento”. Vicende raccontate nei pezzi di cronisti come Monica Andolfatto e Luana De Francisco. Andolfatto, oltre a essere segretaria del Sindacato giornalisti del Veneto, lavora al Gazzettino ed è stata oggetto di minacce da parte dei presunti boss del Veneto Orientale, emerse dalle indagini sulla presenza della camorra, culminate in ben 50 misure di custodia cautelare, una delle quali a carico del sindaco di Eraclea. “Non ho fatto inchieste, ma un lavoro quotidiano di cronaca – ha spiegato – cercando di collegare i nessi tra reati spia, fatti e persone. Questo è un accendere i riflettori sulle zone oscure. Un lavoro delicato, spesso reso più difficile da precarietà e querele temerarie”.
Lettura consonante con quella di De Francisco, giornalista del quotidiano friulano Messaggero Veneto e coautrice del libro “Mafie a Nordest” con Ugo Dinello e Giampiero Rossi. “La nostra è un’opera di sintesi e collegamento – ha spiegato – la sensazione è che nel Triveneto spesso le cose possano esserci passate sotto il naso, ma il lavoro d’inchiesta ha fatto innalzare l’attenzione. Preziosa l’opera degli investigatori, che avrebbero necessità di maggiori organici”. Il tema della percezione nelle comunità emerge pure nella riflessione di Antonio Vesco. “Va superata la retorica della malattia nel corpo sano – ha sostenuto il sociologo dell’università di Torino – i mafiosi sono esseri umani che si muovono come imprenditori e, dunque, entrano nella nostra quotidianità, sfruttando varchi nell’economia, debolezze nel sistema del credito, inquinando le dinamiche del lavoro, trovando ascolto in contesti di apparente normalità. Per questo è importante un impegno collettivo, preventivo e culturale”.