«Rivolgo un appello al comandante generale Giovanni Nistri affinché prenda una posizione e renda onore all’Arma. Prenda posizione in modo che le persone non pensino che i Carabinieri siano quei testimoni che sono venuti in aula e si sono avvalsi della facoltà di non rispondere». Ilaria Cucchi si riferisce al generale Alessandro Casarsa e al capitano Tiziano Testarmata che durante l’udienza dello scorso 8 marzo hanno deciso di tacere. In quell’aula di tribunale cinque carabinieri sono imputati di omicidio preterintenzionale, calunnia e falso e in quell’aula il pm Giovanni Musarò ha ricostruito «una partita giocata con le carte truccate», dove la partita è il primo processo per la morte di Stefano Cucchi e le carte truccate sono le annotazioni dell’Arma che anticipavano le perizie medico-legali.
«Tutti questi giochi si sono svolti e si stanno svolgendo sulla pelle della mia famiglia che si sta devastando, ci siamo totalmente consumati – continua Ilaria – Ci abbiamo rimesso in risorse emotive e anche fisiche. I miei genitori stanno male entrambi e affronteremo anche questo ma fa male constatare come tutto si sapesse sin dall’inizio e che invece si è voluto far finta di niente e depistare». Come se non bastasse mai, il primo processo va avanti nonostante il fatto che lì i carabinieri sono testimoni mentre nel processo bis sono imputati. L’ultima perizia, depositata sempre venerdì 8 marzo, va a sommarsi agli atti del primo processo e si basa su consulenze, relazioni e perizie redatte tra il 2009 e il 2013. «Si basa su dati sbagliati: basti pensare che non compare la frattura in L3 – spiega il legale della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo – Ripercorre perizie che sono state poi smentite ma nonostante questo nei fattori causali, multifattoriali della morte c’è anche il pestaggio: con i traumi e i medicinali dati per placare il dolore provato». «La perizia esclude l’epilessia come causa della morte e parla di bradicardia – continua Anselmo – che però non ha a che fare con la droga ma con il fatto che Stefano aveva un cuore allenato perché andava in palestra ad allenarsi ogni giorno. In ogni caso, ricordiamoci sempre, su quel letto di ospedale Stefano c’è arrivato perché è stato pestato quindi se anche le perizie accertassero che Stefano stava male prima di entrare in carcere non farebbero che aggravare l’accusa di omicidio preterintenzionale».
Il primo processo è ancora in piedi anche se il reato di omicidio colposo di cui sono accusati i medici è caduto in prescrizione: «Il Comune di Roma però non si è ritirato e i carabinieri sperano di aggrapparsi a un processo basato su perizie sbagliate». In più, conclude Anselmo, «in quel primo processo si sostiene che Stefano sia caduto, sia un tossicodipendente, le annotazioni falsificate parlano di un malessere generale e di un ragazzo che si lamenta non per le botte subite ma per la durezza della branda. È stato depistato a tavolino: sia da un punto di vista oggettivo sia soggettivo perché gli imputati sono sbagliati. Abbiamo dimostrato che è tutto falso».