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La Rai dovrà sempre rimanere un’anomalia italiana?

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La Rai non è un’azienda normale. È vero che ha la specifica missione del servizio pubblico radiotelevisivo, ma alcune regole minime del funzionamento di un’impresa dovrebbero pur valere. Ad esempio, è persino grottesco che il Tg2 abbia attaccato la trasmissione di Fazio per l’intervista a Macron (giudizi di merito a parte). Come fu surreale il clima di autocensura a Sanremo dopo le dichiarazioni più che legittime di Claudio Baglioni sui migranti. Per calare un velo pietosissimo sull’incontro tra l’amministratore delegato Salini e il vicepremier Salvini per avere il via libera sul piano industriale. Altro che prima Repubblica. Come è assurdo che il medesimo piano industriale recentemente approvato a maggioranza dal consiglio di amministrazione della Rai sia “segretato”, alla faccia del Freedom of information act (FOIA) pur legge italiana dopo i provvedimenti dell’ex ministra Madia. Non solo. In una Rai di 11000 dipendenti è indispensabile affidare la redazione del progetto alla società di consulenza multinazionale “Boston Consulting”? O i tagli di spesa e la lotta agli sprechi si fanno a giorni alterni? La Rai dovrà sempre rimanere un’anomalia italiana? Torniamo all’attualità, inscritta nelle tabelle pubblicate dall’Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni sulle presenze politiche nell’informazione: la società di viale Mazzini è coloratissima di gialloverde e non se ne abbia il presidente Foa che evoca il pluralismo ma ritiene desueto conteggiare le presenze dei partiti nei Tg. Ecco, non conta solo il testo del piano, bensì soprattutto il contesto. Ma non eludiamo le proposte discusse.


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