“Il messaggero del Male, coperto dal manto nero intessuto di buio e di morte, si è fermato stamattina alla mia porta, poco prima delle otto:” così la scrittrice serba Tijana Djerkovic descrive il suo risveglio, la mattina del 24 marzo 1999, con la notizia che nella notte sono iniziati i bombardamenti della NATO sulla Jugoslavia (Il cielo sopra Belgrado, Besa editrice, 2018).
Nel 1999 dopo oltre 50 anni di pace in un paese europeo è ritornata la guerra; ancora una volta le città sono state lacerate dal suono delle sirene; ancora una volta nella notte i cieli sono stati solcati dai traccianti della contraerea e i vetri delle finestre infranti dai boati delle esplosioni; ancora una volta le madri hanno aspettato con terrore la notte scrutando il cielo.
I bombardamenti si sono susseguiti ininterrottamente per 78 giorni.
Qualche anno dopo, il ministro della difesa dell’epoca ci ha informato che “All’operazione hanno partecipato oltre 900 velivoli appartenenti alle nazioni della NATO. I velivoli NATO hanno effettuato oltre 37.000 sortite, di cui 14.000 di attacco. Sono stati lanciati 23.000 fra missili e bombe” (Carlo Scognamiglio Pasini, La guerra del Kosovo, Rizzoli 2002). Nell’appendice del libro c’è anche un rapporto dettagliato del contributo del nostro Paese. L’Italia ha partecipato ai bombardamenti con l’impiego di 50 velivoli dell’aeronautica militare che hanno impiegato “115 missili Harm, 517 bombe GB MK82, 39 bombe a guida IR Opher, 79 bombe a guida laser GBU 16.” Peccato che un rapporto così dettagliato abbia omesso di indicare quanti morti sono stati provocati dalle nostre bombe umanitarie e quanti da quelle dei nostri alleati. L’elenco degli obiettivi colpiti dall’aviazione della NATO (scuole, ospedali, alberghi, stazioni termali e sciistiche, industrie meccaniche, chimiche, agricole, impianti petroliferi, acquedotti, ponti, centrali elettriche, strutture di telecomunicazione, etc.) dimostra che l’azione militare non aveva per oggetto il Kosovo, ma la Jugoslavia, non aveva per oggetto un determinato regime politico, ma un intero popolo. I risultati dell’azione militare si sono tradotti in una punizione collettiva ai danni del popolo serbo. Con la guerra nei Balcani si è realizzata una sperimentazione in vivo del nuovo concetto strategico che la NATO ha proclamato ufficialmente a Washington il 24 aprile 1999 e del pensiero strategico che, a partire dal 1990 ha orientato la politica degli Stati Uniti. Queste scelte strategiche sono state supportate con entusiasmo dal primo ministro inglese, Tony Blair, che rivendicò la legittimità dell’intervento armato invocando una superiore ragione etica, che non poteva essere giudicata dal diritto. In realtà sul piano politico la guerra non realizzò alcun obiettivo umanitario: mettendo in ginocchio la Jugoslavia, la NATO agì per staccare il Kosovo dalla Jugoslavia e consegnarlo nella mani di una banda di guerriglieri islamici (l’UCK) che, penetrati nel Kosovo dopo l’accordo di pace sancito dalla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 1244 (10/06/1999), misero in atto massicce vendette contro la popolazione serba, che le forze internazionali della Kfor riuscirono con grande fatica e solo in parte ad arginare.
Sono passati venti anni da quei tragici giorni e nessuno ha sentito l’esigenza di trarre un bilancio di quanto è stato fatto. Eppure, con l’ultima guerra del secolo, è stato compiuto uno strappo alla legalità internazionale che ha aperto la strada al caos. Non solo la legalità internazionale, anche i principi fondamentali della Costituzione italiana sono stati calpestati, senza che a nessuno venisse chiesto di renderne ragione. In preparazione della guerra, un comunicato di Palazzo Chigi del 12 ottobre 1998 ci informava che il Consiglio dei Ministri aveva deciso di autorizzare il rappresentante permanente dell’Italia presso il Consiglio Atlantico ad aderire al c.d. Activation order. ” Di conseguenza – recitava il comunicato – l’Italia metterà a disposizione le proprie basi qualora risulterà necessario l’intervento militare da parte dell’Alleanza atlantica per fronteggiare la crisi del Kosovo…Nell’attuale situazione costituzionale – concludeva il comunicato – il contributo delle forze armate italiane sarà limitato alle attività di difesa integrata del territorio nazionale. Ogni eventuale ulteriore impiego delle Forze armate italiane dovrà essere autorizzato dal Parlamento.” Peccato che il 24 marzo nessuno si è ricordato di informare il Parlamento italiano che l’aeronautica militare italiana partecipava attivamente ai bombardamenti.
Dopo il 1940 l’Italia è entrata un’altra volta in guerra, ma nessuno se n’è accorto!