Se sono in tutto 33 anni gli anni di reclusione cui l’avvocata per I diritti umani Nasrin Sotoudeh è stata condannata, in base all’art 134 del Codice Penale iraniano, che prevede che sia scontata solo la pena più alta, la professionista ne dovrebbe in realtà passare in carcere dodici – 17 in totale se si considerano gli altri cinque che sta già scontando per una sentenza dnell’agosto 2018. Lo rende noto l’organizzazione Iran Human Rights, basata in Norvedia, e il cui portavoce Mahmood Amiry-Moghaddam ha ricevuto dal marito di Nasrin, Reza Khandan, i dettagli della condanna forniti da lei stessa in un foglio scritto a mano.
Il verdetto emesso dalla 28/a sezione della Corte Rivoluzionaria di Teheran afferma che Nasrin Soutoudeh ha firmato per un referendum per scegliere che tipo di sistema politico debba esservi in Iran. E questo, aggiunge Iran Human Rights, benché la Costituzione preveda il ricorso al referendum per “materie molto importanti in campo economico, politico, sociale e culturale”. Inoltre, la Corte ha considerato come reati le sue interviste a media stranieri, e anche il fatto di aver tenuto un discorso in favore della abolizione della pena di morte davanti alla sede dell’Onu a Teheran.
Iran Human Rights, che denuncia un inasprimento repressivo sul fronte dei diritti umani, fa appello per una reazione immediate della comunità internazionale, ed in particolare dell’Europa. “La situazione dei difensori dei diritti umani in generale e di Nasrin Sotoudeh in particolare – sottolinea Amiry-Moghaddan – deve essere risolta prima che prosegua ogni forma di dialogo e negoziato tra la Repubblica Islamica e la Ue”. Se davvero l’Iran tiene al sostegno dell’Europa, è il suo pensiero, deve cedere qualcosa proprio sul fronte dei diritti umani e della democrazia.
Di fatto, la condanna di Nasrin cade in una fase di debolezza del governo moderato di Hassan Rouhani, sotto attacco da parte dei suoi rivali ultraconservatori perché l’accordo sul nucleare del 2015, da lui fortemente voluto, non ha portato per l’Iran ai risultati economici che si sperava. E questo a causa del ritiro unilaterale e delle nuove aspre sanzioni degli Usa di Donald Trump, ma anche per la reazione tardiva e ancora non operativa dell’Europa a tutela dei propri operatori che vogliono fare affari con l’Iran. La nomina a capo della magistratura Ebrahim Raisi, già rivale di Rouhani alle ultime presidenziali, è interpretata da molti osservatori come un segnale di questa offensiva da parte dei sostenitori della linea dura, sia sul piano interno che nei confronti dell’Occidente.
Vi è dunque da chiedersi se ogni campagna internazionale a favore di Nasrin Sotoudeh non debba evitare azioni potenzialmente controproducenti che possano essere percepite, nell’establishment iraniano, come attacchi diretti alle basi stesse di quel sistema politico. Questo se si ha davvero a cuore l’obiettivo di favorire la liberazione sua e di altri difensori dei diritti umani in carcere. C’è da chiedersi se confondere gli appelli in suo favore con attacchi alla Repubblica Islamica e chiamate più o meno velate al “regime change” aiuterebbero davvero Nasrin ad uscire dal carcere. O se non sia piuttosto necessaria una informazione pertinente, corretta, verificata e non contaminata con altri elementi frutto di ignoranza e pregiudizi sulla realtà effettiva del sistema politico e della società iraniana.
Una informazione che renda tutti pienamente consapevoli delle tante variabili in gioco, e che nel contempo accompagni quell’auspicata azione diplomatica che per definizione, per essere efficace, deve svolgersi dietro le quinte e non sulla pubblica piazza.
Intanto, mentre gli iraniani celebrano il nuovo anno persiano che comincia proprio il 21 marzo, alcuni attestano la solidarietà verso di lei ponendo la sua foto posta sul “sofreh”, la tavola apparecchiata con sette oggetti simbolici il cui nome comincia per “s”, e che è stata apparecchiata in questi giorni in tutte le case.
Per quanto riguarda i dettagli resi noti da Iran Human Rights, il Premio Sakharov avrebbe 20 giorni per fare appello contro la sentenza, ma suo marito ha detto a media in persiano che lei non lo farà perché non riconosce la legittimità della Corte. La professionista non si è presentata per lo stesso motivo al processo, e quindi la sentenza di primo grado è stata emessa ‘in absentia’. Inoltre, la legale non ha accettato di scegliere un avvocato difensore nella lista dei 20 preselezionati dalla magistratura.
Nel foglio dato al marito anche i dettagli della nuova sentenza ; 12 anni per l’accusa di “incoraggiare la corruzione e la licenziosità dei costumi” nel suo sostegno alle donne che protestano contro l’obbligo del velo; 7 anni e sei mesi per “riunione e cospirazione al fine di agire contro la sicurezza nazionale”; un anno e sei mesi per “propaganda contro il sistema”; altri 7 anni e sei mesi per “per essere membro del gruppo Legam ((Step by Step Toward Abolition of the Death Penalty) contro la pena di morte; 3 anni e 74 frustate per “aver diffuso false informazioni per disturbare la pubblica opinione; altre 74 frustate per essere comparsa in pubblico senza velo; 2 anni per aver disturbato l’ordine pubblico.
(foto tratta dal sito Iran Human Rights)