«Grazie Fiat Chrysler». Donald Trump a fine febbraio ha gioito con un tweet per gli investimenti del gruppo automobilistico negli Usa, in Italia invece è allarme sui progetti di Fca dopo il varo dell’ecotassa (maggiori imposte sui modelli più inquinanti e incentivi per quelli elettrici o ibridi). La multinazionale di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann investirà 4,5 miliardi di dollari a Detroit per costruire Jeep e Rum, creando 6.500 nuovi posti di lavoro. È un’ottima notizia per il presidente Usa teorico dell’«America first», che non sta attraversando un buon periodo sia in politica estera sia interna
È un’ottima notizia anche per il Michigan e per Detroit, la ex capitale dell’auto americana e del mondo. La disastrata metropoli statunitense adesso può intraprendere la scommessa della reindustrializzazione, dopo la fuga intrapresa molti anni fa da General Motors, Ford e Chrysler. Detroit ora può tornare a sperare in una rinascita dopo la chiusura di gran parte delle fabbriche automobilistiche che hanno causato lo spopolamento assieme a un tragico degrado sociale e urbano.
Fiat Chrysler Automobiles è sempre più americana. È un ottimo colpo per Detroit, il Michigan e gli Stati Uniti che hanno iniziato a vedere il ritorno in patria dei grandi gruppi multinazionali americani che hanno delocalizzato le produzioni in tutto il mondo.
Per Torino, il Piemonte e l’Italia, l’altro ramo di Fca, non va così bene. Lo scorso novembre Mike Manley aveva confermato a Torino il piano industriale per l’Italia di Sergio Marchionne: 5 miliardi di euro d’investimenti in tre anni e 13 nuovi modelli (inclusi i restyling) compresi quelli a trazione elettrica o ibrida. Confermato anche l’obiettivo della “piena occupazione” negli impianti del Belpaese entro il 2021.
Invece non è andata così. L’ecotassa voluta dal M5S e decisa dal governo Conte-Di Maio-Salvini ha rimesso tutto in discussione. Manley ha annunciato il ripensamento a metà gennaio al Salone dell’Auto di Detroit: il piano d’investimenti in Italia «sarà rivisto». L’amministratore delegato della multinazionale italo-americana ha puntato il dito contro l’ecotassa varata a dicembre dall’esecutivo giallo-verde: con questa decisione «il contesto è cambiato».
L’ecotassa per favorire le vendite di auto con motori elettrici e ibridi colpisce, infatti, soprattutto le auto di Fiat Chrysler. È un brutto danno per la produzione nazionale di macchine. Il “piano Italia”, ha assicurato Manley, «non viene stoppato» ma l’annuncio del suo possibile ridimensionamento crea apprensione e paura tra gli operai e nei sindacati italiani.
Una delle poche certezze positive è la costruzione della Fiat 500 elettrica a Mirafiori dal 2020. Nel Salone dell’Auto di Ginevra in programma dal 7 marzo sono poi in arrivo due novità: un nuovo Suv dell’Alfa da costruire a Pomigliano D’Arco dal 2020 e il nuovo modello della Panda. L’utilitaria Fiat continua a tirare ma non mancano i problemi: la crescita della produzione programmata dal 4 marzo a Pomigliano è in forse per uno sciopero della Fiom Cgil contro l’aumento dei turni di lavoro.
Il “polo del lusso” Alfa Romeo e Maserati, centrale secondo i programmi di Marchionne per ridare fiato alle fabbriche italiane, stenta a decollare. Il piano per produrre 400 mila Alfa tra Cassino e Pomigliano e quello per montare 100 mila Maserati a Grugliasco, Mirafiori e Cassino sono traguardi per ora irraggiungibili. Il boom di vendite nel 2017 delle auto del Biscione e del Tridente si è trasformato in un crollo nel 2018 per errori nella commercializzazione e per mancanza di nuovi modelli. Per il 2019 si teme una ulteriore caduta delle vendite delle Alfa sotto le 100 mila macchine e delle Maserati attorno a quota 30 mila unità.
C’è molta incertezza da dissipare. Un po’ più di chiarezza arriverà nei prossimi mesi, quando Manley farà i conti sugli effetti dell’ecotassa scattata il primo marzo sulle vendite di auto in Italia. Intanto i lavoratori italiani continuano a fare i conti con la cassa integrazione (leggermente meglio stanno quelli di Melfi dove si producono le Jeep e la 500X).
Come sembra lontano il novembre 2018, quando Pietro Gorlier illustrò a Torino, assieme a Manley, il piano d’investimenti per l’Italia. Il responsabile Fca per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa assicurò: «Entro il 2021 arriveremo alla piena occupazione negli stabilimenti italiani». Ancora non c’era la brutta sorpresa dell’ecotassa.