Cosa sia che sta alimentando di questi tempi il rinfocolarsi dell’antisemitismo non si sa. Bisogna perciò indagare e cercare di capirlo, perché la mala bestia va confrontata, battuta, se possibile estirpata o almeno contenuta, prima che faccia altri danni dopo quelli orrendi che ha causato nel ‘900.
L’antisemitismo è una malattia endemica della cultura europea, un male molto antico. Il Dizionario della Lingua Italiana di Nicolò Tommaseo, pubblicato nel 1861, la descrive così: <il complesso dei principi cui si ispirano gli antisemiti; ed anche Setta degli antisemiti>; dell’ antisemita dà questa definizione <chi è avverso,nemico della razza semitica, e in ispecie agli ebrei>. Il Dizionario Zanichelli, nella XII Edizione del 1986, si limita a descriverlo in questi termini: < Atteggiamento, politica ostile nei confronti degli Ebrei >.
Nel mezzo ci sono stati,e non solo, l’Affare Dreyfus, i Pogrom e la Shoa che hanno fatto dell’antisemitismo un mostro orrendo e pericoloso.
Si possono ricordare questi terribili avvenimenti senza dovere menzionare nel contempo anche, ad esempio, la Banda Sterm, l’Haganà e l’Irgun o quanto avvenne nel ’48 come per sminuire con la citazione di orrori recenti l’enormità degli orrori passati? Come se si trattasse di due partite da pareggiare! Si tratta invece di due tragedie, quella bimillenaria degli Ebrei e quella che dura da 70 anni dei Palestinesi, che vanno tenute ben distinte, perché solo cosi si può smascherare l’espediente truffaldino israeliano di presentare l’antisionismo e l’antisemitismo come se fossero la stessa cosa o almeno parenti stretti.
Se si volesse conoscere qualcosa di quel “complesso dei principi cui si ispirano gli antisemiti” di cui scrive Tommaseo e delle origini dell’antisemitismo, si può trovarla consultando Internet.Per il primo quesito a me sembra calzante questa definizione:<Avversione nei confronti dell’ebraismo, maturatasi in forme di persecuzione o addirittura di mania collettiva di sterminio da una base essenzialmente propagandistica, dovuta a degenerazione di pseudoconcetti storico-religiosi o a ricerca di un capro espiatorio da parte di classi politiche impotenti>; per il secondo si trova una risposta nella Treccani: <Anche se il termine venne usato per la prima volta agli inizi del 19° sec., si tratta di un fenomeno molto più antico. A un’ostilità di carattere religioso, viva fin dai primi secoli del cristianesimo (gli Ebrei come deicidi) e intensificatasi dopo i Concili Lateranensi 3° e 4°, nel Medioevo si aggiunse un’ostilità economico-sociale dovuta al costituirsi degli Ebrei in gruppo a sé stante ….>.
Nel corso dei secoli, per il susseguirsi delle persecuzioni e la sedimentazione dei pregiudizi si è andato costruendo lo stereotipo degli Ebrei come di gente avida (dal piccolo usuraio al grande banchiere), e smaniosa di potere sino a mirare subdolamente al dominio economico del mondo. Al formarsi di questo stereotipo fu tutt’altro che estranea la Chiesa Cattolica che proibendo ai Cristiani di prestare danaro a titolo oneroso in quanto peccato, lo consentì ai soli Ebrei, in quanto infedeli (tanto all’Inferno ci sarebbero andati comunque).
Probabilmente l’antisemitismo non è l’unica malattia endemica della cultura europea; però ha certamente una specificità: lo stereotipo dell’Ebreo avido e subdolo è entrato in quello che Jung chiama “l’inconscio collettivo” delle popolazioni. Proprio perché inconscio, lo stereotipo non si fa avvertire ed avvelena sentimenti e giudizi di chi non ha controllo emotivo sufficiente e/o strumenti culturali che agiscano da antidoto. Da qui la pericolosità dell’antisemitismo più che delle altre forme di razzismo, cosa della quale non sempre c’è consapevolezza.
Da qui anche la ragione per cui bisogna essere particolarmente vigilanti per scoprire sul nascere anche i piccoli cenni di antisemitismo ovunque si manifestino e contrastarli con decisione.
E’ un problema che riguarda tutti. In modo particolare riguarda quanti si battono a fianco dei Palestinesi in favore della loro causa, per non offrirsi inavvertitamente all’accusa di antisemitismo che la dirigenza sionista di Israele e quanti ne sostengono acriticamente le ragioni muovono contro chiunque avversi la politica coloniale e razzista israeliana. L’accusa d’essere antisemita anche quando sia infondata è infamante, ,sminuisce la credibilità di chi ne è colpito e menoma l’efficacia della sua azione.
Avere piena contezza dell’antisemitismo per mantenerne accuratamente le distanze e battersi contro di esso fermamente è dunque necessario.
Bene ha fatto quindi il manifesto a dedicare uno speciale dossier alla ricerca delle ragioni del rinfocolarsi in questo periodo della mala bestia anche in Italia.
Il dossier contiene tre articoli e due interviste su cui è utile riflettere. Dalla loro lettura emergono soprattutto tre elementi.
Gli articoli riportano i risultati di indagini ed inchieste condotte in più parti dell’Europa che non sono semplicemente preoccupanti, sono allarmanti: l’antisionismo è in forte crescita ovunque e incide sulla condizioni di vita dei/delle cittadini/e di religione ebraica al punto tale che in un’inchiesta condotta a livello europeo <il 20% degli intervistati ha affermato di aver avuto un familiare o altre persone vicine vittime di violenze verbali o fisiche …, l’80% … ha ammesso di non riferire incidenti anche gravi alle autorità nella convinzione che non cambierà nulla …, il 30% non esclude(re) la possibilità di lasciare il proprio paese per emigrare verso altri ritenuti più sicuri>.Se non ci allarmiamo ora, quando lo faremo? Che forse il problema riguardi solo gli Ebrei e non tutti gli Europei, quindi anche noi Italiani?
Il secondo elemento riguarda l’Italia: <c’è un interrogativo che percorre l’ebraismo italiano: la linea rossa dell’antisemitismo è già stata superata?>. A questo interrogativo che ancora una volta non interessa solo gli/le Ebrei/e ma anche tutti/e gli/le Italiani/e non c’è una risposta certa, il che significa che alla linea rossa quanto meno ci si è vicini. Pensando poi all’ondata di razzismo che instillata dall’alto delle stesse Istituzioni pervade il nostro Paese c’è da rabbrividire. Sotto l’influsso di questa ondata a Roma, ad esempio, sono stati istituiti presidi militari in due dei lager denominati “campi nomadi” nei quali sono ridotte le comunità Rom e Sinte. Stando con i mitra imbracciati in mezzo a bambini che giocano tra cumuli di rifiuti sui quali scorazzano topi famelici, i militari vigilano sulla sicurezza non si sa bene di chi. Rabbrividire forse è poco.
Il terzo elemento riguarda direttamente gli attivisti della causa palestinese, quindi anche me. Le due eminenti intellettuali ebree, la filosofa Agnes Heller e la psicanalista e storica Èlisabeth Roudinesco, intervistate sulle cause della reviviscenza dell’antisemitismo, hanno notato, tra le tante considerazioni avanzate, che a volte dagli attacchi alle politiche del sionismo israeliano traspaiano posizioni antisemite. Si è dato il caso che appena qualche giorno prima dell’uscita del dossier, lo stesso dubbio sia stato sollevato, con preoccupazione, in una riunione fra appartenenti alla Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese. Abbiamo concluso la riunione affermando necessità di rafforzare con cautela la vigilanza su questo punto.
Inoltre Agnes Heller, considerata la notevole disparità di reazioni di fronte alla tragedia del Popolo Curdo e a quella del Popolo Palestinese afferma che <ciò dimostra che la critica verso Israele è basata su un’ostilità di fondo verso gli ebrei>. Non concordo con l’asserzione della Heller, ma un interrogativo me lo pongo e credo che dovremmo porcelo tutti e tutte noi che militiamo per la causa palestinese. Per quel che mi riguarda me lo sono posto da tempo ed ho anche trovato la risposta. Se per la causa curda mi sono limitato a visitare il presidio dinnanzi all’ospedale militare del Celio quando vi fu ricoverato Öcalan e a lasciare una tenda per il ricovero di chi rimaneva anche la notte ed invece a fine dicembre del 2008, in un’assemblea domenicale della CdB s. Paolo, sostenni con veemenza la necessità di una presa di posizione pubblica e forte contro l’eccidio provocato dall’operazione “piombo fuso” ai danni della popolazione di Gaza, una ragione c’èra come c’è tuttora. E la ragione fu che con i Turchi io non sentivo di avere gran che da spartire, mentre con gli Ebrei, per storia familiare, per cultura, per la mia provenienza dal mondo cattolico sentivo e sento di avere forti vincoli di vicinanza. E’ la stessa ragione per la quale avrei reazioni molto diverse di fronte ad una mascalzonata compiuta da una persona che amassi e quella compiuta da una che sentissi estranea.
La Comunità decise all’stante di tenere un presidio in strada fin quando non fossero cessati i bombardamenti. Il presidio si tenne in pieno centro cittadino, a Largo Goldoni, durò 10 giorni e vi parteciparono pressoché tutte le organizzazioni che a Roma militavano per la causa palestinese, che da lì a qualche mese costituirono la Rete. Posso ritenere che la stessa motivazione che mosse me abbia ispirato anche la decisione della Comunità. ma non posso sostenere che essa valga per chiunque lotti accanto al Popolo Palestinese. Come non sono in grado di affermare che in nessun caso possa essere entrato in gioco lo stereotipo riposto nel’inconscio collettivo di cui ho fatto cenno prima. Non sarebbe male dunque, a parer mio, che in questi frangenti ciascun@ militante pro-Palestina guardasse in faccia la ragione della propria militanza.
Credo ad ogni modo che tutti/e noi dobbiamo batterci con molta fermezza tanto contro il sionismo della dirigenza israeliana e di chi la sostiene, quanto contro l’antisemitismo. Ciò non soltanto per sterilizzare la fandonia della sovrapponibilità dell’antisionismo sull’antisemitismo, ma perché combattere il mostro è doveroso e giusto. E giova anche alla causa palestinese, perché dà maggior vigore all’azione dei tanti Ebrei – e sono in continuo aumento – che vedono nella politica coloniale e razzista del Governi israeliano un vulnus grave all’Ebraismo e sono impegnati a salvaguardane il patrimonio spirituale e culturale. E’ di tutta evidenza, infatti, che una delle condizioni per una pace giusta in Palestina è che sia battuta culturalmente e politicamente la versione ipernazionalista ed etnicista del sionismo che regge oggi le sorti di Israele.