Nuove e gravi minacce di morte indirizzate a Marilù Mastrogiovanni, direttrice del Tacco d’Italia, sono state l’oggetto del Coordinamento interforze per la sicurezza della provincia di Lecce, che ha confermato la vigilanza generica videocontrollata per gli spostamenti della giornalista nel Salento.
Le minacce, denunciate nei giorni scorsi dalla giornalista presso la Polizia postale di Bari, sono all’attenzione della Procura del capoluogo di regione, che ha aperto un fascicolo d’indagine.
Si tratta dell’ennesimo episodio che si va ad aggiungere alle altre incursioni di “email-bombing”, indirizzate a Mastrogiovanni.
La direttrice del Tacco è stata recentemente nominata motu proprio dalla direttrice generale di Unesco quale componente della giuria ristretta composta da soli sei membri del premio mondiale sulla libertà di Stampa “Guillermo Cano”. Ha partecipato come unica giornalista italiana invitata a relazionare, alla conferenza mondiale dell’Osce sulla libertà di stampa, per l’analisi del fenomeno delle minacce on line subite dalle giornaliste: proprio nei giorni della sua partecipazione alla conferenza mondiale di Vienna sono arrivati gli ultimi messaggi oggi portati all’attenzione del Coordinamento interforze per la sicurezza e già denunciati a livello internazionale dinanzi agli esperti di Unesco e Osce.
Mastrogiovanni partecipa anche come esperta invitata all’ “UNESCO and the Global Diplomacy Lab consultation meeting on the Online Safety of Women Journalists”, il tavolo di progettazione di Unesco per individuare le future linee di azione in difesa delle giornaliste contro le minacce on line.
Mastrogiovanni, che insegna “Giornalismo d’inchiesta on line” al Master in Giornalismo e al Master in “Comunicazione della scienza” presso l’Università di Bari, continua a portare avanti le sue inchieste investigative sulla mafia pugliese e le connessioni con la politica e l’economia, soprattutto nel settore dei rifiuti e degli appalti pubblici.
“Il mio impegno internazionale, a difesa della libertà di stampa e in particolare delle donne giornaliste e del diritto d’espressione delle donne, non mi allontanerà dal mio lavoro d’inchiesta investigativa sulle mafie pugliesi e del Salento in particolare. Sulla parola mafia in Puglia c’è un generale imbarazzo e una voglia di rimozione che ricorda la Sicilia di 100 anni fa. Mentre verso Cosa nostra, i Siciliani, dopo il tributo di sangue di tante vittime innocenti, hanno maturato una capacità di reazione fatta di impegno civico, in Puglia e nel Salento in particolare si fa fatica a distinguere tra cultura mafiosa e convivenza civile, perché la convivenza civile si basa, spessissimo, sulla condivisione della cultura mafiosa. Non si capisce che quel confine labile tra cultura mafiosa e mafia porta alla sovrapposizione totale dei fenomeni e alla trasformazione della società in società mafiosa. Si teme che parlare di mafia significhi allontanare i turisti, compromettere l’economia e non si capisce che non è economia quella generata dall’immissione di capitoli mafiosi, ma un veleno che fa marcire alla base la Democrazia e compromette ogni possibilità di riscatto. Sono grata al Questore di Lecce e in particolare alla prefetta Cucinotta che con grande sensibilità e competenza ha saputo cogliere in tutta la loro portata, come mai è accaduto finora, la gravità e la fondatezza dei fatti denunciati”.