Nella lotta alla mafia, lo Stato non può commettere errori così gravi, come quelli commessi nel caso dell’imprenditore Greco, suicidatosi. Invece, emerge una clamorosa incongruenza tra due letture dello stesso fatto. La magistratura che definisce Greco come un resistente alla mafia, grazie alle sue denunce per la richiesta di pizzo, che hanno provocato numerosi arresti dei boss locali; la Prefettura di Caltanissetta, che invece emette un’interdittiva di esclusione dai pubblici appalti, in base delle calunnie dei mafiosi, che nel processo hanno denigrato il loro accusatore come uno che si fingeva vittima, ma in realtà faceva affari con loro.
Questa versione – pur rigettata dal processo – non ha impedito la gravissima misura dell’ “interdittiva”, che per un’azienda attiva nei pubblici appalti significa promiscuità, esclusione, inattività, morte. Greco, dopo aver licenziato i suoi 50 operai, si è tolto la vita. Per solitudine, disperazione, ma soprattutto per aver creduto nello Stato che invece di proteggerlo, lo ha abbandonato. Fino a fargli sentire inutile il proprio coraggio. Proprio quello che vuole la mafia: convincere anche i più reattivi che nulla cambia.
Tutto ciò è inaccettabile. Come cittadini impegnati nella lotta contro tutte le mafie, chiediamo che sia aperta un’inchiesta sulla legittimità dell’interdittiva, che sia tempestiva e chiarificatrice. Perché dopo aver tolto tutto all’imprenditore Greco, lo Stato deve – a lui, ai suoi familiari e ai tanti cittadini che li sostengono – l’accertamento della responsabilità di chi lo ha suicidato.
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