Il M5S ha deciso di sottoporre al voto della “rete”, ossia degli iscritti al “Movimento” (circa 200.000), attraverso la piattaforma “Rousseau”, il quesito, se nei confronti del Ministro degli Interni Matteo Salvini – imputato innanzi al Tribunale dei ministri di Catania del reato di sequestro di persona aggravato in relazione alla vicenda della nave “Diciotti” – debba essere concessa o meno l’autorizzazione a procedere prevista dall’art. 96 della Carta costituzionale. La conseguenza è che i sette senatori che siedono nella Giunta per le autorizzazioni a procedere voteranno secondo quanto deciso dalla maggioranza dei votanti in “rete” che – è bene sottolinearlo – non rappresentano che una minima parte dei circa undici milioni di cittadini che nelle ultime elezioni hanno votato per il “Movimento”. Si viene, così, a stabilire un rapporto diretto tra gli iscritti al M5S e i sette senatori eletti, rapporto che si andrà ad estendere a tutti gli altri parlamentari del “Movimento” chiamati successivamente a votare nel “Plenum” del Senato sulla proposta della Giunta.
L’iniziativa del M5S rappresenta un grave “vulnus” al principio di democrazia rappresentativa su cui si fonda la Costituzione italiana che, pur prevedendo istituti di partecipazione popolare (petizione, iniziativa legislativa, referendum abrogativo e costituzionale), non prevede un istituto che scalzi l’intermediazione politica e instauri un rapporto diretto tra cittadini e rappresentanti in Parlamento i quali sarebbero dei semplici portavoce dei cittadini partecipi in prima persona, mediante la rete, delle decisioni politiche. La nostra Costituzione non solo non lo prevede ma addirittura non lo consente stabilendo all’articolo 67 che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
A Costituzione vigente, la democrazia digitale si pone in evidente contrasto con il modo in cui la Costituzione stessa intende il rapporto tra rappresentanza e partecipazione: l’intero sistema costituzionale, la forma di Stato e di governo si reggono proprio sulla necessaria integrazione tra rappresentanza e partecipazione. La democrazia partecipativa consiste, infatti, nell’introduzione di elementi di partecipazione popolare – referendum, iniziative – in un sistema rappresentativo con lo scopo di perfezionarlo e controllarlo meglio dalla prospettiva del cittadino o, quanto meno, avvicinarlo al popolo. In altri termini, forme di democrazia diretta, in quanto espressione della sovranità popolare, vanno inserite, in una prospettiva di vera “riforma”, nel disegno complessivo della democrazia rappresentativa, per integrarla e correggerne carenze e difetti.
Ed è in tale quadro costituzionale che si colloca la recente proposta di legge costituzionale – fortemente voluta dal M5S ed, in particolare, dal ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta, Riccardo Fraccaro – di riforma dell’art. 71 della Carta introducendo il referendum propositivo finalizzato a potenziare e rendere più effettivi nel nostro ordinamento gli istituti della democrazia diretta e partecipativa, sempre, però, concepiti non come sostitutivi e alternativi ma come integrativi e rafforzativi della democrazia rappresentativa.