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Turchia, confermata la condanna per i giornalisti di Cumhuriyet. In otto tornano in carcere

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La scure della giustizia si abbatte ancora sulle voci libere in Turchia. La 3^ Corte di appello di Istanbul ha confermato la sentenza a carico di Musa Kart, Bülent Utku, Hakan Karasinir, Kadri Gürsel, Guray Tekin Oz, Oder Celik, Emre Iper e Mustafa Kemal Güngör. Dovranno tornare in carcere per scontare il resto della pena a cui lo scorso aprile erano stati condannati insieme a altri 6 tra redattori e membri del consiglio di amministrazione del quotidiano Cumhuriyet sui quali si dovrà esprimere un altro Tribunale.
Il processo, in cui erano imputati anche il direttore Murat Sabuncu e l’amministratore delegato Akin Atalay, oltre ad alcuni reporter ed editorialisti molto noti come Ahmet Sik, oggi parlamentare dell’Hdp, è diventato uno dei simboli delle limitazioni alla libertà di stampa nel Paese di Recep Tayyip Erdogan.
Dal primo momento è parso evidente a tutta l’opinione pubblica mondiale che i redattori e il resto del personale dell’ultimo giornale indipendente turco, come i fratelli Ahmet e Mehmet Altan e gli altri 150 giornalisti ancora imprigionati in Turchia, fossero stati arrestati e condannati solo per aver svolto il loro lavoro in piena coscienza e libertà.
La magistratura ha dimostrato di non essere in grado di garantire la protezione dei diritti fondamentali dei cittadini turchi che comprendono la libertà di stampa, aggravando così la pressione sui media che tentano di mantenere una propria neutralità.
Per questo oggi piu che mai la Corte europea dei diritti dell’uomo deve assumere decisioni che provino a ristabilire una giustizia degna di questo nome per i nostri colleghi in balia delle repressioni iniziate con il fallito golpe del luglio 2016.
La natura simbolica dei processi Zaman e Cumhuriyet ha sortito un indubbio effetto raggelante sui media turchi e sulla percezione del diritto al libero pensiero.
La conferma in secondo grado della sentenza di un altro processo contro la libertà di stampa in Turchia, l’ergastolo aggravato per 6 giornalisti, tra cui Ahmet Altan, scrittore e giornalista, suo fratello Mehmet, economista e editorialista, e la veterana del giornalismo turco Nazlı Ilıcak, 75 anni (condannata lo scorso febbraio anche per divulgazione di notizie riservate in un altro procedimento) conferma che lo Stato di diritto nel Paese è morto.
La Corte di Appello del Tribunale penale di Istanbul al termine del procedimento che li vedeva accusati di “attentato all’ordine costituzionale” ha ribadito il verdetto di carcere a vita anche per altri imputati, il giornalista Şükrü Tuğrul Özşemgül, Fevzi Yazıcı, esperto designer, e Yakup Şimşek, art director, tutti collaboratori del quotidiano Zaman.
Tutti loro nessun’altra ‘colpa’ hanno se non quella di aver fatto il proprio mestiere.
Un verdetto atteso con preoccupazione anche all’estero, dove in questi mesi sono state lanciate numerose campagne a sostegno dei giornalisti incarcerati negli ultimi due anni e mezzo.
Articolo 21 ha seguito tutte le udienze, iniziate il 24 luglio 2017. Chi scrive era tra gli osservatori internazionali al processo arrivato a sentenza il 25 aprile.
Il dibattimento è stato incentrato sull’attività giornalistica piuttosto che sulle accuse formulate nei confronti degli imputati.
Le domande poste sia dai giudici che dal procuratore vertevano solo sulle notizie e sulla politica editoriale di Cumhuriyet. La linea editoriale indipendente del giornale è stata messa in discussione. Sin dalla prima udienza il processo stesso ha posto in evidenza che quello in atto nei confronti di Cumhuriyet era un tentativo di imporre il bavaglio ai giornalisti turchi, una ritorsione contro chi concepisce il giornalismo come strumento di verità e di libertà d’espressione.
Nella graduatoria 2018 di Reporters sans Frontières sulla libertà di stampa, la Turchia è risultata al 157/mo posto su 180 Paesi.
Rispetto alla decisione della corte d’appello turca che ha confermato la condanna di giornalisti e dirigenti di Cumhuriyet, il direttore della ricerca e della strategia sulla Turchia di Amnesty International, Andrew Gardner, ha dichiarato che “la sentenza di oggi dimostra ancora una volta come procedimenti politicamente motivati e sentenze immotivate ricevano una mera timbratura da parte delle corti d’appello”.
L’organizzazione internazionale ha evidenziato come i procedimenti giudiziari ai danni di decine di operatori dell’informazione costituiscono un costante affronto alla libertà di stampa e alla giustizia in Turchia. Usando i tribunali per rafforzare la loro stretta sugli organi d’informazione, le autorità hanno ancora una volta messo in evidenza il lato oscuro di un sistema giudiziario guasto. “Ciò dovrebbe preoccupare chiunque abbia a cuore la libertà d’espressione” la conclusione di Amnesty che facciamo nostra.


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