Ipotesi tante, forse troppe, ma pochissime certezze sul sequestro di Silvia Romano, dal 20 novembre scorso prigioniera probabilmente nella zona del Tana River. Le autorità del Kenya confermano che la volontaria milanese non è stata portata in Somalia e ceduta agli shabaab, gli integralisti vicino ad Al Qaeda. Supposizione realistica poichè i terroristi ne avrebbero rivendicato la detenzione per guadagnare la scena mediatica internazionale.
Sicuramente i rapitori non sono gli sprovveduti delinquenti comuni indicati in un primo tempo dagli inquirenti ma hanno un profilo criminale più corposo di quello che si supponeva. La polizia di Nairobi assicurò fin dall’inizio che Silvia sarebbe stata liberata entro poche ore ma dal 20 novembre la sua sorte è entrata in un buco nero che toglie il respiro. La popolazione non collabora, dicono gli investigatori. I clan che popolano la zona sono in guerra da più di 20 anni per il controllo di terra, pascoli e acqua. Ai gruppi etnici locali si sono aggiunti i pastori somali ed etiopi arrivati qui dopo la grande siccità del 1978 e 1979. E qui l’esercito è più volte intervenuto con pugno di ferro per reprimere i sanguinosi scontri. Di conseguenza nessuno è disposto a fornire informazioni ad uno stato considerato “nemico”.
Ci sono molti punti oscuri. Centinaia le persone arrestate e fermate, coprifuoco imposto intorno al fiume Tana. In manette alcuni parenti stretti dei rapitori mentre uno di loro sarebbe addirittura morto a maggio dello scorso anno secondo i documenti mostrati dal figlio. Un altro ancora è stato arrestato e trovato in possesso di armi e munizioni. E poi le liti tra polizia ed esercito, gli arresti di due ufficiali dei rangers sospettati di connivenza con i sequestratori. Dopo l’attentato del 15 gennaio all’hotel Dusit di Nairobi ad opera degli shabaab somali, sono stati arrestati tre uomini accusati di essere complici degli assalitori. E non è mancato il colpo di scena in tribunale dove il magistrato ha ipotizzato un loro legame con il sequestro di Silvia e per questo ha disposto 30 giorni di carcere per approfondire la pista.
Ipotesi pirotecniche quasi sempre destinate a spegnersi in un nulla di fatto dopo il clamoroso botto mediatico.
In concreto non c’è nessun elemento utile per arrivare alla liberazione di Silvia Romano. Ma le foreste del Kenya non inghiottono gli ospiti. Ci auguriamo di rivederla presto, anzi prestissimo.