Dopo la morte di Moussa Ba si torna a discutere del futuro della baraccopoli. Per Medu serve un piano nel breve e nel lungo termine, ma “manca la volontà politica a monte e la capacità di organizzazione a valle”. Un modello potrebbe essere quello di Drosi: case non abitate ai lavoratori, anche contro lo spopolamento
ROMA – L’ultima vittima della baraccopoli di San Ferdinando si chiama Moussa Ba, aveva 28 anni e veniva dal Senegal. E’ morto in un rogo scoppiato tra le baracche di quest’ insediamento, in cui negli ultimi mesi si sono contate già tre vittime. C’è chi parla di “stillicidio”, chi di “morte annunciata”. Nei fatti la situazione è al limite, le denunce da parte della società civile sono costanti e continue, e da tempo si parla di un piano alternativo. Tra le associazioni che lavorano sul campo, c’è Medu, presente nella Piana di Gioia Tauro con un il suo camper mobile, per prestare assistenza ai migranti con un team medico e uno di assistenza socio-legale. “Sono sei anni che denunciamo questa situazione – sottolinea il presidente Alberto Barbieri -. Nel nostro ultimo report, I dannati della Terra, chiedevamo sia un piano nell’immediato che un piano a lungo termine, per creare condizioni di accoglienza e inclusione dignitose per i lavoratori migranti che ogni anno si recano lì per la raccolta degli agrumi, e per quelli stanziali”.
Ma, nonostante gli annunci, seguiti agli eventi tragici dell’ultimo anno, gli interventi non sono arrivati. “In particolare, nell’immediato abbiamo chiesto che ci fossero strutture sicure, anche temporanee, per accogliere i migranti, perché la baraccopoli è un luogo insicuro, in cui le situazioni igienico-sanitarie sono disastrose – spiega il presidente di Medu-. D’inverno le persone cercano di riscaldare le baracche con mezzi di fortuna, come falò e bracieri, in cui bruciano plastica che prende fuoco facilmente. Gli incendi sono all’ ordine del giorno – aggiunge -. Già due anni fa erano stati firmati dei protocolli con la regione e la prefettura per procedere all’inclusione sociale e lavorativa dei braccianti. Ma ad oggi non è successo niente, non c’è organizzazione, non c’è volontà politica, si tratta di un territorio abbandonato a se stesso. Lo denunciamo da 6 anni, le istituzioni sono drammaticamente assenti: se ci sono situazioni come queste non si può aspettare. A monte ci vuole la volontà politica e a valle la capacità di programmazione, soprattutto pensare a dei piani per l’inclusione abitativa”.
Tra le soluzioni ipotizzate da Medu c’è quella di dare le case inabitate ai braccianti che lavorano nella zona. “Nella Piana di Gioia Tauro ci sono molti alloggi sfitti, che potrebbero essere date ai lavoratori migranti a prezzi accessibili, sull’esempio di quello che è già accaduto a Drosi, nel comune di Rizziconi”, spiega Barbieri. Nel piccolo paesino clabrese, infatti, da qualche anno è partita un’iniziativa di inclusione abitativa che ha l’obiettivo di superare gli accampamenti e le baracche. Nella pratica, le case della zona, abbandonate sii affittano ai migranti, a un prezzo basso e, dunque, sostenibile. “E’ un modello che viene dal basso e serve anche a ripopolare alcune aree. Inoltre, in questo modo si danno alloggi dignitosi a chi va lì per lavorare – aggiunge -,è un progetto che può funzionare, ma serve la volontà politica innanzitutto della regione, che è stata molto assente. Inoltre, la prefettura che i comuni devono fare la loro parte. Solo così evitiamo lo stillicidio continuo”.
Intanto il Viminale ha annunciato lo sgombero, che però non convince del tutto le associazioni. “Non contestimao il fatto che la baraccopoli debba essere smantellata, ma si deve avere un piano alternativo decente, anche per l’immediato, perché la stagione è ancora in corso – aggiunge Barbieri – Le duemila persone che sono lì devono avere un posto dove stare, altrimenti dopo lo sgombero si creeranno nuovi insediamenti e nuovi ghetti, come è sempre accaduto in passato”. Anche per questo Medu ha chiesto un incontro urgente con la prefettura: “Vogliamo capire se c’è un calendario delle azioni, cioè come intendono muoversi – conclude Barbieri -. I braccianti della Piana oggi tengono in piedi un intero comparto agricolo, per questo servono soluzioni stabili, non possiamo aspettare la prossima morte per fare qualcosa”. Il team di Medu è di nuovo attivo nella zona da tre settimane: quest’anno all’attività sanitaria si aggiunge anche un programma di inclusione lavorativa: “vogliamo creare piccoli modelli di insediamento abitativo che possano durare nel lungo periodo, per superare la condizione di ghettizzazione”. (Eleonora Camilli)